GÉRARD BLAIN, INQUIETO RIBELLE
Il cinema del secolo scorso è stato ricco, oltre che di pellicole straordinarie, anche di grandi attori che hanno saputo regalarci sorrisi, emozioni, turbamenti e riflessioni. E il "nostro" cinema, spesso e volentieri, ha potuto gioire della presenza di alcuni interpreti stranieri di grande pregio. Se prendiamo la Francia, ad esempio, abbiamo potuto ridere con Louis de Funès e Fernandel, divertirci e riflettere con Philippe Noiret, "tormentarci" con la malinconia di Jean-Louis Trintignant e la tenebrosa bellezza di Alain Delon. Ognuno di loro ha avuto modo di lavorare con i più grandi registi italiani e raggiungere una fama che - spesso - ha superato la loro celebrità d'oltralpe.
E tra questi, un posto di primo piano merita un altro indimenticabile interprete "gallico": Gérard Blain, scomparso esattamente vent'anni fa, il 17 dicembre 2000. Come Trintignant e Delon, anche Blain portava in scena una "maschera" malinconica e tenebrosa, ma a differenza di essi, grazie a quei lineamenti così taglienti, come il suo sguardo, offriva un'immagine differente, che non era quella del "bravo ragazzo", ma quella di un eterno ribelle, affascinante e tormentato, che divenne ben presto una stella della Nouvelle Vague. Dopotutto, questo suo "apparire" non si discostava tanto dalla sua vita reale. Blain nacque a Parigi, il 23 ottobre 1930, e da giovanissimo si trovò a crescere in una situazione difficile, fatta di studi precari o quasi nulli e una famiglia priva d'affetto - il padre abbandonò la madre quando lui era ancora piccolo. E tra l'altro anche la sua vita in toto è stata tutto meno che tranquilla: libertino sul lavoro, dove spesso rinunciò anche ad importanti occasioni (come una carriera ad Hollywood), ed anche nei sentimenti, avendo avuto ben quattro matrimoni (il primo con l'attrice Estella Blain) e tre figli.
Gérard Blain e Danièle Delorme in "Ecco il tempo degli assassini". |
D'altra parte questo spirito libertario esplose in lui fin dall'infanzia, vissuta tra le strade della "Ville Lumière", le stesse che lo videro prendere parte alla Resistenza francese dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Il cinema, forse, rappresentò una opportunità non da poco, tanto che esordì ancora adolescente in ruoli di piccolo spessore. Ma a consacrarlo al successo furono gli anni '50, diretto da registi come Julien Duvivier ("Ecco il tempo degli assassini") e soprattutto Claude Chabrol, grazie al quale si affermò nel suo paese in pellicole come "Le beau Serge"(1957) e "Les Cousins" (1958).
Gérard Blain e Jean-Claude Brialy ne "Les Cousins". |
Nello stesso periodo, la sua figura inquieta apparve anche in Italia, dove prese parte a film di successo come "Giovani mariti" (1958) di Mauro Bolognini e "I delfini" (1960) di Francesco Maselli, accanto a nomi come Antonio Cifariello, Franco Interlenghi e Sergio Fantoni. Ma venne diretto anche da Lizzani ne "Il gobbo" (1960) e "L'oro di Roma" (1961) - dove interpretava il ruolo del calzolaio ebreo Davide, sullo sfondo di una Capitale perduta tra persecuzioni razziali e rastrellamenti.
In alto, Gérard Blain e Antonella Lualdi ne "I delfini". In basso, da sinistra, Antonio Cifariello, Enio Girolami, Franco Inerlenghi e Gérard Blain in "Giovani mariti. |
Negli anni '70, poi, affiancò alla carriera di attore anche quella di regista, esordendo dietro la macchina da presa con "Les amis"(1971) premiato al Festival di Locarno. E proprio in Italia interpretò uno dei suoi ultimi ruoli, nello sceneggiato Rai "Quei trentasei gradini" (1984), accanto a Ferruccio Amendola e Maria Fiore: lui era il dottor Brauner, l'affascinante psichiatra vedovo con un figlio ribelle e tossicodipendente. Una sorta di "specchio" delle interpretazioni più celebri della sua carriera, premiata nel 1999 con un premio, ancora a Locarno, un anno prima della sua prematura scomparsa, avvenuta a soli settant'anni.
Gérard Blain ed Eddie Constantine in "Quei trentasei gradini". |
Ebbene, non so se in madrepatria la situazione sia differente, ma certamente rispetto ai sopracitati attori, Gérard Blain è quello meno ricordato. Ed anche per questo, ad ormai novant'anni dalla sua nascita e a venti dalla sua scomparsa, ho deciso di ricordare questo "inquieto ribelle" a cui il cinema - anche il nostro - deve tanto.
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