CESARE BARBETTI, INCONFONDIBILE "ANIMA"
Eleganza e charme, in corpo e voce. Ed è proprio quest'ultima, la voce, la sua "anima", ad aver fatto di Cesare Barbetti un mito del doppiaggio nazionale. La sua vicenda artistica, però, non può essere limitata soltanto a questo, dal momento che essa cominciò prestissimo e come attore.
Figlio d'arte - entrambi i genitori erano attori -, Barbetti nacque "casualmente" a Palermo (il 29 settembre 1930) su una nave, e fece il suo ingresso nel mondo dello spettacolo soltanto quattro anni dopo, quando esordì nel film "Il cappello a tre punte" di Mario Camerini, accanto ad Eduardo De Filippo. Dotato di spontaneità recitativa e grande capacità di immedesimazione nel personaggio, Barbetti diede gran prova di sé quale attore-bambino, partecipando a numerosi film con ruoli particolarmente apprezzati come quelli di Marco Ansaldi in "Dagli Appennini alle Ande" (1943) di Flavio Calzavara e Brunello in "La freccia nel fianco (1945) di Alberto Lattuada. Era solo l'inizio di una fulgida carriera che lo vide spaziare dal cinema al teatro - accanto a nomi come Andreina Pagnani, Paolo Stoppa e Rina Morelli - passando per la televisione e la radio, dove mise in risalto le proprie corde in numerosi radiodrammi.
Un giovanissimo Cesare Barbetti in "Dagli Appennini alle Ande". |
Infatti, dotato di un timbro caldo, gentile e ben impostato, a partire dagli anni '50 Cesare Barbetti trovò la sua strada: il doppiaggio. Accanto a Pino Locchi, Giuseppe Rinaldi, Massimo Turci e Ferruccio Amendola, divenne una delle voci più quotate nella celebre Cooperativa Doppiatori Cinematografici (C.D.C.).
In alto, alcuni tra i più celebri "volti" doppiati da Cesare Barbett. Da sinistra, Robert Redford, Steve McQueen e Jean-Louis Trintignant. |
La sua "anima" così affabile, sensuale, in grado di cogliere alla perfezione espressioni e stati d'animo, è legata soprattutto a Robert Redford di cui fu la voce italiana in quasi tutte le sue pellicole. Ma prestò la propria voce - tra gli altri - anche a Steve McQueen, Robert Duvall, Jean-Louis Trintignant e Roger Moore (in particolar modo nel celebre telefilm "Attenti a quei due").
Robert Duvall (a sinistra) ne "Il padrino" e Roger Moore in "Attenti a quei due", altre celebri interpretazioni vocali di Cesare Barbetti. |
Ma, come già detto, la sua carriera fu ben più ampia e Cesare Barbetti fu uno dei pochissimi doppiatori a cui il gran pubblico poté associare un volto. D'altronde, continuò parallelamente a recitare, sebbene con frequenza inferiore, fino agli anni '90, prendendo parte non solo a pellicole cinematografiche (dirette da registi come Florestano Vancini, Pupi Avati e Giuseppe Tornatore) ma anche a numerosi sceneggiati televisivi. Tuttavia, la sua carriera si concluse con il doppiaggio. Negli ultimi anni, infatti, si dedicò soprattutto alla direzione del doppiaggio in pellicole nazionali e non, e nel 2002 ricevette anche un importante riconoscimento: la prestigiosa "Targa Gualtiero De Angelis". E, ironia del destino, Barbetti trovò la morte proprio mentre stava recandosi a ritirare un premio, il "Leggio d'oro" alla carriera. Un incidente automobilistico gli impedì di arrivare alla cerimonia, a Carrara, e due mesi dopo, il 13 settembre 2006 se ne andò, per un'ischemia cerebrale, all'ospedale Campo di Marte di Lucca, dove era stato ricoverato. E forse quel premio, a novant'anni esatti dalla sua nascita, rimane la più grande prova di ciò che Cesare Barbetti, con la sua distinta figura e la sua "anima" inconfondibile, ha rappresentato e rappresenta, ancora oggi, nella storia del doppiaggio italiano.
Commenti
Posta un commento