LUI, L'EREDE: LUIGI DE FILIPPO
Ho avuto la fortuna di vederlo di persona, quattro anni fa. Si trovava all'Università degli Studi della Basilicata, a Potenza, dove gli venne conferita la laurea honoris causa in "Scienze Filosofiche e della Comunicazione". La cosa che mi colpì subito di Luigi De Filippo fu la fierezza. Non era una cosa semplice portare un cognome che da solo significava "arte". Un onore, certo, ma anche un grosso onere. Lui ci riuscì, con grande dignità, e in qualche modo quella laurea fu anche un premio al suo impegno e alla sua tenacia.
Luigi De Filippo seppe dimostrarsi all'altezza della sua illustre famiglia. Il padre era il celeberrimo Peppino De Filippo, fratello del "maestro" Eduardo e della indimenticabile Titina, figli del grande commediografo Eduardo Scarpetta. La madre, invece, era Adele Carloni, anch'ella attrice come i suoi fratelli, tra cui il più noto Pietro Carloni - che sposò Titina.
Si può dire che il "peso" dell'arte cominciò a sentirlo fin dalla nascita, avvenuta a Napoli il 10 agosto 1930. Ancora bambino, però, si trasferì a Roma con tutta la famiglia, e proprio lì si formò professionalmente.
Da sinistra, Peppino De Filippo, Luigi De Filippo e Gigi Reder nella commedia "Quale onore!".
La sua passione, all'inizio, era la scrittura. Si dilettava nella stesura di novelle e racconti. Giovanissimo, ancora studente, scrisse una commedia, "Questa sera alle nove", messa in scena insieme ai suoi compagni di classe, che ebbe un buon successo, rivelando il suo precoce talento.
A ventun anni, invece, debuttò nella compagnia paterna. Luigi De Filippo, infatti, condivise per anni la scena insieme a Peppino, cimentandosi sia nelle commedie di famiglia - quelle del padre e del nonno ma anche dello zio - che in quelle di altri autori, come Pirandello, Gogol' e Molière. Senza dubbio, proprio dal padre ereditò una grande versatilità.
In alto, Luigi De Filippo con il padre Peppino e Totò in "Chi si ferma è perduto".
In basso, in una scena de "Le quattro giornate di Napoli".
Fin dagli anni '50, infatti, Luigi De Filippo affianco il cinema al teatro, prendendo parte a numerose pellicole: da "Filumena Marturano" (1951), diretta da Eduardo (tratta dall'omonima commedia), a "Le quattro giornate di Napoli" (1962) di Nanni Loy, da "Cerasella" (1959) di Raffaello Matarazzo a "Chi si ferma è Perduto" (1960) di Sergio Corbucci, in cui recitò accanto a suo padre e Totò.
Ma apparve anche saltuariamente sul piccolo schermo, in alcune fiction Tv, oltre ad affiancare il padre nella sua ultima apparizione televisiva, ovvero il varietà "Buonasera con...Peppino De Filippo", andato in onda pochi giorni prima della sua scomparsa, nel 1980.
In alto, Luigi De Filippo ancora con il padre Peppino.
In basso, con il cugino Luca De Filippo.
Come per tutti i De Filippo, però, la sua "arena" era il palcoscenico. Amava ripetere che il teatro fosse "il racconto della lotta continua che fa l'uomo per dare un senso alla propria esistenza". Una lezione imparata dai suoi "maestri", ai quali nel giro di pochi anni riuscì a "rubare" la scena, al pari del cugino Luca, il figlio di Eduardo - di diciotto anni più piccolo.
Luigi De Filippo in "La fortuna di nascere a Napoli".
Insieme - sebbene in compagnie separate - riportarono in auge il teatro dei loro padri, traghettandolo nel nuovo Millennio e mettendone in luce la grande modernità. Ma Luigi De Filippo portò in scena anche commedie scritte di suo pugno, come "La fortuna di nascere a Napoli" e "La commedia del re buffone e del buffone re". Dopo la morte prematura di Luca De Filippo - avvenuta nel 2015 -, Luigi rimase l'ultimo custode di un'immensa eredità artistica.
Quel 4 maggio 2016, quando ascoltai la sua Lectio Magistralis dopo il conferimento della laurea, vidi nei suoi occhi emozionati e nella sua voce (incredibilmente simile a quella di Peppino) l'orgoglio di essere un De Filippo, nonostante l'enorme responsabilità che quel nome comportava.
Addirittura, guardandolo andare via, passando nei corridoi dell'università con il paltò aperto su un elegante vestito scuro e il cappello a falda larga poggiato sulla testa e non ben calzato, ebbi l'impressione di avere davanti il padre, tanto era grande la somiglianza, specialmente negli ultimi tempi. Poco meno di due anni dopo, il 31 marzo 2018, anche Luigi De Filippo se ne andò, ma non venendo meno al suo "dovere" fino alla fine.
Luigi De Filippo (al centro) nella sua ultima interpretazione: "Natale in casa Cupiello."
Due mesi prima della sua scomparsa si esibì al Teatro Parioli di Roma (di cui fu direttore artistico), nella più famosa commedia eduardiana, "Natale in casa Cupiello". Recitò su una carrozzella, non avendo più la forza di stare in piedi, ma riuscì a portare a termine la sua missione di vita, con classe, dignità e bravura.
Ebbene, a novant'anni dalla sua nascita, sono fiero di poter dire di averlo conosciuto di persona, di averlo ascoltato raccontare aneddoti, di aver rivisto in lui i suoi avi - nella voce, nei gesti, nell'espressività del volto -, così come sono fiero di aver dedicato ampio spazio sul mio blog all'ultimo esponente di una gloriosa dinastia del teatro. Parafrasando Eduardo: Lui, l'Erede, Luigi De Filippo.
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