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RENATO POZZETTO: OTTANT'ANNI IN UN... "TAAAC!"

 Perbacco, ottant'anni! Lui, forse, userebbe una delle sue battute più famose, "Eh la Madonna!" : sacrilega, forse, ma "purificata" dal suo sguardo perso e quell'aria stupita che hanno lasciato un segno indelebile nella comicità italiana. Renato Pozzetto, è vero, è stato anche volgare: "Ma vai a cagare!" rimane una delle frasi più ricorrenti, quasi quanto "Taaac!". Battute, dicevo, decisamente sopra le righe, ma talmente ironiche e surreali che, giustificate dal suo aspetto da "bambinone", assumono connotati quasi poetici.



D'altra parte, ciò che di lui ci ha sempre fatto ridere è quella comicità fatta di gesti ed espressioni, oltre che di battute. La sa lunga la televisione in bianco e nero, dove questo ragazzotto simpatico approdò alla fine degli anni '60 negli studi Rai di Milano, la sua città - sebbene la sua vita sia "cominciata" a Laveno, sul Lago Maggiore, dove è nato il 14 luglio 1940. La sua giovinezza, però, si svolse a Gemonio, dove la sua famiglia venne sfollata a seguito dei bombardamenti che colpirono il capoluogo lombardo. E proprio lì, tra altri ragazzini sfollati, conobbe Aurelio Ponzoni, ovvero "Cochi", la sua "dolce metà" artistica. Una amicizia d'infanzia, una di quelle destinate a durare e a trasformarsi in qualcosa di più. Infatti, prima di approdare sul piccolo schermo, "Cochi e Renato" erano già diventati qualcuno: tra il bar Gattullo, l'Osteria dell'Oca e il Cab '64, avevano cominciato a farsi un nome nei locali milanesi. E proprio al Cab '64 fondarono il "Gruppo Motore" assieme a Enzo Jannacci, Lino Toffolo, Bruno Lauzi e Felice Andreasi, con i quali si esibirono per la prima volta al Derby club, fucina di altri grandi artisti di quella Milano lì.



                                                                                                        Cochi e Renato.

"Cochi e Renato", però, con i loro duetti a metà strada tra nonsense e poesia, si fecero immediatamente notare, e non solo dal pubblico meneghino. Difatti, in men che non si dica divennero volti noti della Tv, debuttando in "Quelli della domenica" (1968), assieme a Ric e Gian, Gianni Agus e Paolo Villaggio, col quale Renato condividerà anche il set cinematografico anni dopo.
La loro complicità, quella precisa ripartizione dei ruoli - Cochi la "mente", Renato il "braccio" goffo ed ingenuo - fece talmente presa sul pubblico da fargli conquistare il diritto di condurre autonomamente ben due trasmissioni: "Il buono e il cattivo" (1972) e "il poeta e il contadino" (1973). Presero parte anche ad uno dei più longevi programmi di varietà,  "Canzonissima" '74, condotto da Raffaella Carrà: sigla di chiusura, "E la vita, la vita", brano scritto da Renato Pozzetto con Enzo Jannacci, e senz'altro il più celebre della coppia, assieme a "Canzone intelligente" e "La gallina".
Ad un certo punto, però, le strade di Cochi e Renato si separarono.



                                                                                                                 Renato Pozzetto con Giovanna Ralli in "Per amare Ofelia" (1974).


Nella seconda metà degli anni '70, infatti, Renato Pozzetto intraprese una fortunata carriera cinematografica, esordendo in "Per amare Ofelia" (1974) di Flavio Mogherini, nel ruolo di Orlando, un adulto psicologicamente (e sessualmente) rimasto bambino, che esce dalla stasi evolutiva grazie alla dolcezza della prostituta Ofelia (Giovanna Ralli). Ruolo che gli valse un Nastro d'argento come miglior attore esordiente.
Con più di sessanta film all'attivo, nel corso della sua carriera ha lavorato con i più grandi registi: da Steno a Dino Risi, da Sergio Corbucci a Pasquale Festa Campanile, per arrivare a Castellano & Pipolo, Carlo Vanzina e Neri Parenti.



        In alto, Renato Pozzetto con Carlo Verdone in "7 chili in 7 giorni" (1986)
In basso, con Enrico Montesano in "Piedipiatti" (1991).



Ma anche al cinema Pozzetto ha dato vita a "duetti" irresistibilmente comici: con Carlo Verdone in "7 chili in 7 giorni" (1986) di Luca Verdone - due goffi direttori di una clinica che promette riduzioni del girovita con pratiche poco ortodosse -, con Enrico Montesano in "Piedipiatti" (1991) di Carlo Vanzina, ma soprattutto con Paolo Villaggio nella trilogia de "Le comiche" (1990-1994) diretta da Neri Parenti.


                                                                                                              Renato Pozzetto e Paolo Villaggio ne "Le nuove comiche" (1994).


E come dimenticare l'esilarante Artemio, contadino trapiantato in città, ne "Il ragazzo di campagna" (1984) di Castellano & Pipolo, uno dei suoi personaggi più amati - con scene memorabili, come lo "spettacolo" del passaggio del treno o l'arrivo a Piazza San Babila a bordo del trattore - oppure il dolcissimo Marco in "versione adulta" in "Da grande" (1987) di Franco Amurri: il bambino che, desideroso di diventare adulto, magicamente si ritrova nei panni e nel corpo di un quarantenne, capendo ben presto quanto sia difficile essere grandi e quanto sia bello rimanere piccoli il più a lungo possibile.
Ma Renato Pozzetto ha anche sperimentato la regia per ben cinque volte, a partire da "Saxofone" nel 1978, fino a "Un amore su misura" del 2007, in cui compare anche l'amico fraterno Cochi.



    Due scene tratte dal cult "Il ragazzo di campagna" (1984).
     In basso, l'arrivo di Artemio a Milano a bordo del trattore.



Ripensando a questi titoli - molti dei quali divenuti veri e propri cult -, non stupisce che, ormai da diversi anni, Renato Pozzetto si sia progressivamente allontanato dalle scene, visto che, senza dubbio, ci ha già donato tutto: ironia, divertimento ma anche tenerezza.



                                                                                Renato Pozzetto e Gaia Piras in "Da grande" (1987).


Perché dietro alcuni personaggi, ed oltre quelle battute un po' osé, si è sempre celata una forte malinconia di fondo, presente in quasi tutte le sue interpretazioni che, invece, ci hanno sempre fatto tanto ridere. Personalmente devo molto a Renato Pozzetto, avendomi fatto trascorrere (soprattutto in coppia con Paolo Villaggio) pomeriggi d'infanzia indimenticabili, tanto da conoscere a memoria le battute dei suoi film. La mia preferita? Forse la meno consueta, ma anche la più "insensata": "Basta con la violenza negli stadi!", gridata in "contesti" decisamente diversi da un'arena calcistica.
E forse proprio per questo, più che da appassionato cinefilo, ritenevo mio dovere dedicare un po' di spazio a questo grande comico italiano, surreale e sublime, ironico e sentimentale, a cui vanno i miei più sinceri auguri di buon compleanno, con la viva speranza che - ovviamente - gli arrivino in un "Taaac!".

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