FERRUCCIO AMENDOLA, LA PERFEZIONE DI UNA "VOCE IMPERFETTA"
Una voce perfetta nella sua imperfezione: ruvida, pastosa, allegra. Un volto per anni semisconosciuto e poi legato per sempre alla televisione. La popolarità per Ferruccio Amendola arrivò tardi, tra i quaranta e i cinquanta anni di età, dopo una intensa gavetta divisa tra doppiaggio e recitazione cinematografica. Iconico timbro di De Niro e Hoffman, "trucida" ugola di Tomás Milián nei poliziotteschi anni '70, la sua carriera fu lunga e tutta in salita. Iniziò a Roma, sua città d'adozione, dove si trasferì ancora ragazzino da Torino - dove nacque il 22 luglio 1930.
La sua era una famiglia di artisti: i genitori erano entrambi attori, come i nonni, mentre lo zio era il famoso regista e sceneggiatore Mario Amendola. Non c'è da stupirsi, dunque, se ancora bambino si ritrovò a recitare, esordendo sul grande schermo in "Gian Burrasca" (1943) di Sergio Tofano. Successivamente si esibì sul palcoscenico nella compagnia di Pino Locchi e Tina Lattanzi (storici doppiatori) con "Madre natura". Negli stessi anni ebbe anche la sua prima esperienza nel mondo del doppiaggio, prestando la propria voce al piccolo Vito Annichiarico nel capolavoro neorealista "Roma città aperta" (1945) di Roberto Rossellini.
A differenza di molti altri doppiatori, però, Ferruccio Amendola non riuscì ad imporsi immediatamente. Tra gli anni '50 e '60 la sua voce veniva utilizzata marginalmente, per coprire poche battute e pronunciate da personaggi secondari o comparse: fornai, fattorini, ascensoristi d'albergo, passanti, carrettieri. D'altra parte, la voce di Amendola non si presentava esattamente "da doppiaggio": era "sporca" e priva di una dizione perfetta.
Nel frattempo, Ferruccio Amendola continuò a lavorare nella rivista e nel cinema, soprattutto in film di genere comico-sentimentale. Venne diretto dallo zio Mario Amendola in alcuni film, come "I prepotenti" (1958), accanto a Nino Taranto ed Aldo Fabrizi, da Gianni Franciolini ne "Le signorine dello 04" (1955), con Antonio Cifariello e Giovanna Ralli, e perfino da Mario Monicelli nel celebre "La grande guerra" (1959), accanto a Vittorio Gassman e Alberto Sordi.
Recitò anche accanto a Totò nella serie televisiva "Tutto Totò" (1967) - episodio "Totò yè yè" - diretta da Daniele D'Anza.
Tuttavia, si trattava comunque di piccole partecipazioni, nulla che potesse dargli una visibilità tale da essere pienamente riconosciuto. La grande occasione arrivò per Ferruccio Amendola alla fine degli anni '60. Quasi per caso si ritrovò ingaggiato nel doppiaggio di "Un uomo da marciapiede" (1969).
E questa volta non si trattava di un ruolo di contorno, bensì del protagonista, un attore destinato a diventare una star internazionale proprio con quella pellicola: Dustin Hoffman.
La voce di Amendola, incredibilmente malleabile sul volto espressivo e "frenetico" dell'attore, si legò indissolubilmente ad Hoffman tanto da doppiarlo in tutti i suoi più grandi successi, come "Kramer contro Kramer" (1979) e "Rain Man - l'uomo della pioggia"(1988).
Era solo l'inizio di un ventennio ricco di soddisfazioni, che vide Ferruccio Amendola diventare la "voce" italiana di volti pluripremiati del cinema hollywoodiano: Robert De Niro ("Il cacciatore", "Innamorarsi", "C'era una volta in America"), Sylvester Stallone ( "Rocky" 2-5 e "Rambo"), Al Pacino (nella trilogia de "Il padrino" e "Scarface") ma anche Peter Falk ("Riscatto per un uomo morto", "Pollice da scasso", "Il segreto della piramide d'oro").
Ma per il pubblico italiano la voce di Amendola è sicuramente associata alla riccioluta "faccia da schiaffi" di Tomás Milián. Fu infatti lo stesso attore cubano a sceglierlo come propria voce nelle sue celeberrime interpretazioni del maresciallo Nico Giraldi - personaggio ideato tra l'altro dallo zio Mario Amendola e dal regista Bruno Corbucci - e quella del "trucido" ladro "Er Monnezza".
La grande popolarità di Miliàn in Italia deve molto all'interpretazione di Ferruccio Amendola che con la sua caratteristica parlata "romanesca" diede una precisa connotazione ai suoi personaggi.
Il volto di Amendola, invece, divenne noto soprattutto negli anni '80, quando accanto ad una fortunata serie di spot pubblicitari, partecipò a numerosi sceneggiati televisivi, come "Quei trentasei gradini" (1984) di Luigi Perelli e "Pronto soccorso" (1990 -1992) di Francesco Massari. Nel primo, interpretava Pietro, portiere di una palazzina romana segretamente innamorato dell'inquilina del primo piano (Maria Fiore).
Nel secondo, invece, era il dottor Aiace, direttore del pronto soccorso di un ospedale romano. In entrambi, Ferruccio Amendola recitò accanto al figlio Claudio - avuto dal matrimonio con l'attrice e doppiatrice Rita Savagnone -, divenuto poi un affermato attore.
Furono proprio quelli gli anni di grande popolarità per Amendola, dopo una lunga gavetta, fatta di piccole esperienze prima di quella grande occasione che aveva il sapore del successo e il volto di chi se lo era meritato. Tra l'altro, Ferruccio Amendola è uno dei pochi doppiatori italiani - almeno quelli di un tempo - a cui la gente ha potuto associare un volto (merito soprattutto della sua notorietà televisiva).
Difatti, sono convinto che quel 3 settembre 2001, apprendendo la notizia della sua scomparsa - avvenuta dopo una lunga malattia -, tutti e dico tutti, magari leggendo anche soltanto il nome, abbiano immediatamente associato ad esso il suo volto: simpatico, con quel nasone rotondo, e sorridente.
Un viso particolare ed indimenticabile ancora oggi, a ben novant'anni dalla sua nascita, proprio come la sua voce calda, virile e rude, imperfetta ma, proprio per questo, perfettamente inconfondibile.
Una voce perfetta nella sua imperfezione: ruvida, pastosa, allegra. Un volto per anni semisconosciuto e poi legato per sempre alla televisione. La popolarità per Ferruccio Amendola arrivò tardi, tra i quaranta e i cinquanta anni di età, dopo una intensa gavetta divisa tra doppiaggio e recitazione cinematografica. Iconico timbro di De Niro e Hoffman, "trucida" ugola di Tomás Milián nei poliziotteschi anni '70, la sua carriera fu lunga e tutta in salita. Iniziò a Roma, sua città d'adozione, dove si trasferì ancora ragazzino da Torino - dove nacque il 22 luglio 1930.
La sua era una famiglia di artisti: i genitori erano entrambi attori, come i nonni, mentre lo zio era il famoso regista e sceneggiatore Mario Amendola. Non c'è da stupirsi, dunque, se ancora bambino si ritrovò a recitare, esordendo sul grande schermo in "Gian Burrasca" (1943) di Sergio Tofano. Successivamente si esibì sul palcoscenico nella compagnia di Pino Locchi e Tina Lattanzi (storici doppiatori) con "Madre natura". Negli stessi anni ebbe anche la sua prima esperienza nel mondo del doppiaggio, prestando la propria voce al piccolo Vito Annichiarico nel capolavoro neorealista "Roma città aperta" (1945) di Roberto Rossellini.
Vito Annicchiarico (qui con Aldo Fabrizi) in "Roma città aperta", primo doppiaggio nella carriera di Amendola. |
A differenza di molti altri doppiatori, però, Ferruccio Amendola non riuscì ad imporsi immediatamente. Tra gli anni '50 e '60 la sua voce veniva utilizzata marginalmente, per coprire poche battute e pronunciate da personaggi secondari o comparse: fornai, fattorini, ascensoristi d'albergo, passanti, carrettieri. D'altra parte, la voce di Amendola non si presentava esattamente "da doppiaggio": era "sporca" e priva di una dizione perfetta.
In alto, Ferruccio Amendola con Aldo Fabrizi ne "I prepotenti". |
Nel frattempo, Ferruccio Amendola continuò a lavorare nella rivista e nel cinema, soprattutto in film di genere comico-sentimentale. Venne diretto dallo zio Mario Amendola in alcuni film, come "I prepotenti" (1958), accanto a Nino Taranto ed Aldo Fabrizi, da Gianni Franciolini ne "Le signorine dello 04" (1955), con Antonio Cifariello e Giovanna Ralli, e perfino da Mario Monicelli nel celebre "La grande guerra" (1959), accanto a Vittorio Gassman e Alberto Sordi.
Da sinistra, Mario Castellani, Ferruccio Amendola, Totò e Gianni Bonaugura in "Totò yè yè". |
Recitò anche accanto a Totò nella serie televisiva "Tutto Totò" (1967) - episodio "Totò yè yè" - diretta da Daniele D'Anza.
Tuttavia, si trattava comunque di piccole partecipazioni, nulla che potesse dargli una visibilità tale da essere pienamente riconosciuto. La grande occasione arrivò per Ferruccio Amendola alla fine degli anni '60. Quasi per caso si ritrovò ingaggiato nel doppiaggio di "Un uomo da marciapiede" (1969).
E questa volta non si trattava di un ruolo di contorno, bensì del protagonista, un attore destinato a diventare una star internazionale proprio con quella pellicola: Dustin Hoffman.
"Un uomo da marciapiede": primo film in cui Ferruccio Amendola presta la propria voce a Dustin Hoffman (a sinistra, nella foto, insieme a Jon Voight). |
La voce di Amendola, incredibilmente malleabile sul volto espressivo e "frenetico" dell'attore, si legò indissolubilmente ad Hoffman tanto da doppiarlo in tutti i suoi più grandi successi, come "Kramer contro Kramer" (1979) e "Rain Man - l'uomo della pioggia"(1988).
Era solo l'inizio di un ventennio ricco di soddisfazioni, che vide Ferruccio Amendola diventare la "voce" italiana di volti pluripremiati del cinema hollywoodiano: Robert De Niro ("Il cacciatore", "Innamorarsi", "C'era una volta in America"), Sylvester Stallone ( "Rocky" 2-5 e "Rambo"), Al Pacino (nella trilogia de "Il padrino" e "Scarface") ma anche Peter Falk ("Riscatto per un uomo morto", "Pollice da scasso", "Il segreto della piramide d'oro").
Due tra i più noti doppiaggi di Ferruccio Amendola: a sinistra Al Pacino ne "Il padrino". A destra, Robert De Niro in "C'era una volta in America". |
Ma per il pubblico italiano la voce di Amendola è sicuramente associata alla riccioluta "faccia da schiaffi" di Tomás Milián. Fu infatti lo stesso attore cubano a sceglierlo come propria voce nelle sue celeberrime interpretazioni del maresciallo Nico Giraldi - personaggio ideato tra l'altro dallo zio Mario Amendola e dal regista Bruno Corbucci - e quella del "trucido" ladro "Er Monnezza".
Tomás Milián nei panni del maresciallo Nico Giraldi, reso celebre anche dall'interpretazione vocale di Amendola. |
La grande popolarità di Miliàn in Italia deve molto all'interpretazione di Ferruccio Amendola che con la sua caratteristica parlata "romanesca" diede una precisa connotazione ai suoi personaggi.
Il volto di Amendola, invece, divenne noto soprattutto negli anni '80, quando accanto ad una fortunata serie di spot pubblicitari, partecipò a numerosi sceneggiati televisivi, come "Quei trentasei gradini" (1984) di Luigi Perelli e "Pronto soccorso" (1990 -1992) di Francesco Massari. Nel primo, interpretava Pietro, portiere di una palazzina romana segretamente innamorato dell'inquilina del primo piano (Maria Fiore).
In alto, Ferruccio Amendola con Maria Fiore in "Quei trentasei gradini". In basso, con il figlio Claudio in "Pronto soccorso". |
Nel secondo, invece, era il dottor Aiace, direttore del pronto soccorso di un ospedale romano. In entrambi, Ferruccio Amendola recitò accanto al figlio Claudio - avuto dal matrimonio con l'attrice e doppiatrice Rita Savagnone -, divenuto poi un affermato attore.
Furono proprio quelli gli anni di grande popolarità per Amendola, dopo una lunga gavetta, fatta di piccole esperienze prima di quella grande occasione che aveva il sapore del successo e il volto di chi se lo era meritato. Tra l'altro, Ferruccio Amendola è uno dei pochi doppiatori italiani - almeno quelli di un tempo - a cui la gente ha potuto associare un volto (merito soprattutto della sua notorietà televisiva).
Difatti, sono convinto che quel 3 settembre 2001, apprendendo la notizia della sua scomparsa - avvenuta dopo una lunga malattia -, tutti e dico tutti, magari leggendo anche soltanto il nome, abbiano immediatamente associato ad esso il suo volto: simpatico, con quel nasone rotondo, e sorridente.
Un viso particolare ed indimenticabile ancora oggi, a ben novant'anni dalla sua nascita, proprio come la sua voce calda, virile e rude, imperfetta ma, proprio per questo, perfettamente inconfondibile.
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