VITTORIO, IL "RE"
"Non fu mai impallato!", recita la sua lapide al Cimitero del Verano di Roma. Un chiaro riferimento alla sua immensa vita artistica dove effettivamente non fu mai "impallato", in quanto non ci fu mai alcun ostacolo tra lui e la macchina da presa. Vittorio Gassman ha indubbiamente dominato la scena quasi ininterrottamente tra gli anni '40 e gli anni '90, in teatro e al cinema. Nel primo ha rappresentato le più belle opere della letteratura mondiale, nel secondo ha incarnato alla perfezione l'italiano sbruffone e sicuro di sé, bugiardo e fanfarone, donnaiolo e superficiale. Per decenni nel suo profilo aquilino, nel suo sguardo magnetico e nel suo fisico atletico, l'Italia intera si è specchiata nella speranza di trovarvi una qualche somiglianza, invidiandone sicumera e spavalderia: alla stregua di Roberto Mariani, alias Jean-Louis Trintignant, nel cult di Risi "Il sorpasso". Timido, riservato ed insicuro, contrario al suo fare "da mascalzone" eppure in qualche modo invidioso del compagno di viaggio Bruno Cortona/Gassman, con cui sfreccia sul filo dei centodieci orari lungo la consolare Aurelia in pieno "boom economico".
In realtà, il "vero" Vittorio Gassmann - la seconda "n" fu lui a toglierla - era molto più simile al personaggio di Trintignant che al proprio. Il giovane Gassman infatti - nato a Genova, il 1° settembre 1922, ma trasferitosi ben presto a Roma - era un ragazzo timoroso e un po' chiuso. Al mondo dello spettacolo non pensava affatto. Frequentò il prestigioso Liceo Tasso, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza e, nel mentre, prestante com'era, fu anche campione nazionale di basket. Cresciuto dalla madre, Luisa Ambron - il padre, Heinrich Gassmann, ingegnere tedesco, morì quando lui aveva appena quattordici anni -, fu quest'ultima a convincerlo ad iscriversi all'Accademia d'arte drammatica di Roma, proprio perché vincesse le sue insicurezze.
Vittorio Gassman, quello spavaldo, seduttore e futuro "mattatore", nacque proprio lì, dove ben presto non solo dimostrò di avere tutte le carte in regola per recitare, ma si rivelò anche tra i più meritevoli e capaci. Dopo il diploma, cominciò la sua ascesa, lunga e ricca di esperienze. Il primo "amore" - ma anche il più vero - fu il teatro. Salì sul palcoscenico per la prima volta a Milano, nel 1943, ne "La nemica" di Niccodemi, con Alda Borelli.
Vittorio Gassman con Anna Maria Ferrero ne l' "Amleto".
Da allora, la scena teatrale divenne il suo habitat naturale: l'unico luogo, forse, in cui riuscì sempre ad esprimere al meglio se stesso. Nel 1952, insieme al suo compagno di corso all'Accademia, Luigi Squarzina, fondò il Teatro d'Arte Italiano, portando in scena opere come l' "Otello" e L' "Amleto" di Shakespeare, e il "Tieste" di Seneca. Nel 1960 fu la volta del Teatro Popolare Italiano, quando presentò "l'Adelchi", una delle opere più ostiche e meno conosciute di Manzoni.
Vittorio Gassman e Silvana Mangano in "Riso amaro".
Tutti noi, però, conosciamo Gassman soprattutto come straordinario interprete del cinema. Luogo, questo, in cui sembrava non trovare la sua opportuna collocazione. Iniziò ad apparire sul grande schermo già dalla fine degli anni '40, per lo più doppiato. Ottenne il primo successo partecipando al capolavoro neorealista "Riso amaro" (1949) di Giuseppe De Santis, accanto a Silvana Mangano e Doris Dowling. L'anno della svolta fu però il 1958: voluto fortemente da Mario Monicelli, Vittorio Gassman esordì nel suo primo ruolo comico nei panni di Peppe "Er Pantera", capo della sgangherata banda di ladruncoli - composta da Salvatori, Mastroianni, Murgia e Pisacane, alias "Capannelle" - che tentarono il celebre colpo al Monte di Pietà nel film culto "I soliti ignoti".
In alto, Vittorio Gassman con Carlo Pisacane (a sinistra) e Marcello Mastroianni ne "I soliti ignoti".
In basso, con Alberto Sordi ne "La grande guerra".
La sua carriera sul grande schermo iniziò proprio con quel ruolo fortunato, che tornò ad interpretare sia nel sequel di Loy del 1959 ("Audace colpo dei soliti ignoti") sia in quello meno conosciuto di Todini del 1985 ("I soliti ignoti vent'anni dopo") in cui, insieme a Mastroianni, sembrava pienamente immedesimato in quei personaggi che rimpiangevano un'epoca perduta.
Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant ne "Il sorpasso".
La stessa che vide Gassman balzare agli onori della cronaca con interpretazioni straordinarie: da "La grande guerra" (1959), accanto a Sordi, ai celeberrimi "L'armata Brancaleone"(1966) e "Brancaleone alle crociate" (1970) di Monicelli, dal sopracitato "Il sorpasso" (1962) a "Il tigre" (1967) e "Il profeta" (1974) di Dino Risi, passando per il cult "I mostri", accanto ad uno strepitoso Ugo Tognazzi.
Vittorio Gassman ne "L'armata Brancaleone".
E come non citare "Il mattatore" (1960), sempre di Risi - in cui recitò accanto ad Anna Maria Ferrero e Peppino De Filippo -, pellicola ispirata all'omonima trasmissione televisiva che gli conferì di diritto quel soprannome forse troppo generico.
In alto, Vittorio Gassman con Ugo Tognazzi ne "I mostri".
In basso, con Ann-Margret ne "Il tigre".
Ma un terzo regista davvero importante per Gassman fu Ettore Scola, col quale diede vita ad un lungo sodalizio partendo dal celebre "C'eravamo tanto amati" (1974) - con Nino Manfredi, Stefania Sandrelli e Stefano Satta Flores -, passando per "La terrazza" (1980) e arrivando a "La cena" (1998).
Se Scola, però, tirò fuori il meglio di Gassman nella fase della maturità, a Monicelli e soprattutto a Risi si deve la nascita del "Mito Gassman": sbruffone, atletico e amato dalle donne, a cui letteralmente faceva perdere la testa.
In alto, da sinistra: Vittorio Gassman, Nino Manfredi e Stefano Satta Flores in "C'eravamo tanto amati".
In basso, Vittorio Gassman e Stefania Sandrelli ne "La terrazza".
Lui, tuttavia, ebbe soltanto quattro relazioni importanti e con quattro attrici: Nora Ricci (la prima moglie), Shelley Winters (la seconda), Juliette Mayniel e Diletta D'Andrea (la terza). Da queste ebbe rispettivamente i suoi quattro figli: Paola (attrice teatrale), Vittoria, Alessandro (noto attore di cinema) e Jacopo. Inoltre aggiungerei a queste anche la lunga relazione intrattenuta negli anni '50 con la splendida Anna Maria Ferrero, attrice che recitò con lui in cinema e in teatro, nei ruoli di Ofelia e Desdemona.
Pur continuando a recitare ancora sia sul grande schermo che in palcoscenico - portò in scena, tra le tante, "Moby Dick" di Herman Melville -, nell'ultima parte della sua carriera, Vittorio Gassman visse un periodo oscuro, minato dalla depressione. Quei mali di gioventù, quella sua difficoltà a relazionarsi apertamente con gli altri, quella sua ricerca interiore, vennero a galla all'improvviso, facendo emergere quel che era davvero, e che si discostava molto da ciò che appariva sullo schermo. Un uomo simpatico, estroverso e affascinante, ma profondamente malinconico, solitario. In questi anni scoprì la fede, che ricercò fino all'ultimo. Ritrovò l'antica passione per la scrittura, componendo poesie. Nonostante tutto, continuò ancora a calcare le scene: con i capelli argentati, il volto segnato e incorniciato da una barba ben curata, il suo fascino era addirittura maggiore. Divulgò, con il suo timbro profondo e inconfondibile, i canti della Divina Commedia, con la stessa serietà e professionalità con cui poi, nel programma televisivo "Tunnel", si prestò a fare delle ironiche "letture" di scontrini fiscali, menù, bollette del gas ed etichette di capi d'abbigliamento.
Furono anche anni di bilanci. Nel 1996, ricevette il Leone d'oro alla carriera a Venezia, e quattro anni dopo partecipò alla sua ultima pellicola: "La bomba" di Giulio Base, nelle parti di un vecchio boss malavitoso rintronato, in cui recitò accanto al figlio Alessandro, col quale già aveva lavorato sia al cinema che in teatro. Solo un anno dopo, il 29 giugno 2000, il vecchio "mattatore", l'eroe del palcoscenico, se ne andò quasi in silenzio, colto dalla morte nel sonno.
Negli ultimi anni aveva scherzato diverse volte su di essa. La morte era un argomento che affrontava spesso. La riteneva un "errore" del Padreterno, e dichiarò anche, scherzosamente, che non si riteneva affatto indispensabile, ma gli veniva difficile immaginare il mondo senza di lui: "Che farete da soli?". Ebbene, caro Vittorio, la risposta è una ed inequivocabile: cerchiamo di farci forza, continuando a ricordarti, a rivedere i tuoi splendidi film, ripensando alla tua profonda ironia e alla tua voce che ancora riecheggia nelle nostre orecchie. Il timbro di un vero condottiero della scena - altro che Brancaleone da Norcia - , un indiscusso mito della cinematografia nazionale ed un vero "sovrano" dello spettacolo. Più semplicemente, "Re" Vittorio.
"Non fu mai impallato!", recita la sua lapide al Cimitero del Verano di Roma. Un chiaro riferimento alla sua immensa vita artistica dove effettivamente non fu mai "impallato", in quanto non ci fu mai alcun ostacolo tra lui e la macchina da presa. Vittorio Gassman ha indubbiamente dominato la scena quasi ininterrottamente tra gli anni '40 e gli anni '90, in teatro e al cinema. Nel primo ha rappresentato le più belle opere della letteratura mondiale, nel secondo ha incarnato alla perfezione l'italiano sbruffone e sicuro di sé, bugiardo e fanfarone, donnaiolo e superficiale. Per decenni nel suo profilo aquilino, nel suo sguardo magnetico e nel suo fisico atletico, l'Italia intera si è specchiata nella speranza di trovarvi una qualche somiglianza, invidiandone sicumera e spavalderia: alla stregua di Roberto Mariani, alias Jean-Louis Trintignant, nel cult di Risi "Il sorpasso". Timido, riservato ed insicuro, contrario al suo fare "da mascalzone" eppure in qualche modo invidioso del compagno di viaggio Bruno Cortona/Gassman, con cui sfreccia sul filo dei centodieci orari lungo la consolare Aurelia in pieno "boom economico".
In realtà, il "vero" Vittorio Gassmann - la seconda "n" fu lui a toglierla - era molto più simile al personaggio di Trintignant che al proprio. Il giovane Gassman infatti - nato a Genova, il 1° settembre 1922, ma trasferitosi ben presto a Roma - era un ragazzo timoroso e un po' chiuso. Al mondo dello spettacolo non pensava affatto. Frequentò il prestigioso Liceo Tasso, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza e, nel mentre, prestante com'era, fu anche campione nazionale di basket. Cresciuto dalla madre, Luisa Ambron - il padre, Heinrich Gassmann, ingegnere tedesco, morì quando lui aveva appena quattordici anni -, fu quest'ultima a convincerlo ad iscriversi all'Accademia d'arte drammatica di Roma, proprio perché vincesse le sue insicurezze.
Vittorio Gassman, quello spavaldo, seduttore e futuro "mattatore", nacque proprio lì, dove ben presto non solo dimostrò di avere tutte le carte in regola per recitare, ma si rivelò anche tra i più meritevoli e capaci. Dopo il diploma, cominciò la sua ascesa, lunga e ricca di esperienze. Il primo "amore" - ma anche il più vero - fu il teatro. Salì sul palcoscenico per la prima volta a Milano, nel 1943, ne "La nemica" di Niccodemi, con Alda Borelli.
Vittorio Gassman con Anna Maria Ferrero ne l' "Amleto".
Da allora, la scena teatrale divenne il suo habitat naturale: l'unico luogo, forse, in cui riuscì sempre ad esprimere al meglio se stesso. Nel 1952, insieme al suo compagno di corso all'Accademia, Luigi Squarzina, fondò il Teatro d'Arte Italiano, portando in scena opere come l' "Otello" e L' "Amleto" di Shakespeare, e il "Tieste" di Seneca. Nel 1960 fu la volta del Teatro Popolare Italiano, quando presentò "l'Adelchi", una delle opere più ostiche e meno conosciute di Manzoni.
Vittorio Gassman e Silvana Mangano in "Riso amaro".
Tutti noi, però, conosciamo Gassman soprattutto come straordinario interprete del cinema. Luogo, questo, in cui sembrava non trovare la sua opportuna collocazione. Iniziò ad apparire sul grande schermo già dalla fine degli anni '40, per lo più doppiato. Ottenne il primo successo partecipando al capolavoro neorealista "Riso amaro" (1949) di Giuseppe De Santis, accanto a Silvana Mangano e Doris Dowling. L'anno della svolta fu però il 1958: voluto fortemente da Mario Monicelli, Vittorio Gassman esordì nel suo primo ruolo comico nei panni di Peppe "Er Pantera", capo della sgangherata banda di ladruncoli - composta da Salvatori, Mastroianni, Murgia e Pisacane, alias "Capannelle" - che tentarono il celebre colpo al Monte di Pietà nel film culto "I soliti ignoti".
In alto, Vittorio Gassman con Carlo Pisacane (a sinistra) e Marcello Mastroianni ne "I soliti ignoti".
In basso, con Alberto Sordi ne "La grande guerra".
La sua carriera sul grande schermo iniziò proprio con quel ruolo fortunato, che tornò ad interpretare sia nel sequel di Loy del 1959 ("Audace colpo dei soliti ignoti") sia in quello meno conosciuto di Todini del 1985 ("I soliti ignoti vent'anni dopo") in cui, insieme a Mastroianni, sembrava pienamente immedesimato in quei personaggi che rimpiangevano un'epoca perduta.
Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant ne "Il sorpasso".
La stessa che vide Gassman balzare agli onori della cronaca con interpretazioni straordinarie: da "La grande guerra" (1959), accanto a Sordi, ai celeberrimi "L'armata Brancaleone"(1966) e "Brancaleone alle crociate" (1970) di Monicelli, dal sopracitato "Il sorpasso" (1962) a "Il tigre" (1967) e "Il profeta" (1974) di Dino Risi, passando per il cult "I mostri", accanto ad uno strepitoso Ugo Tognazzi.
Vittorio Gassman ne "L'armata Brancaleone".
E come non citare "Il mattatore" (1960), sempre di Risi - in cui recitò accanto ad Anna Maria Ferrero e Peppino De Filippo -, pellicola ispirata all'omonima trasmissione televisiva che gli conferì di diritto quel soprannome forse troppo generico.
In alto, Vittorio Gassman con Ugo Tognazzi ne "I mostri".
In basso, con Ann-Margret ne "Il tigre".
Ma un terzo regista davvero importante per Gassman fu Ettore Scola, col quale diede vita ad un lungo sodalizio partendo dal celebre "C'eravamo tanto amati" (1974) - con Nino Manfredi, Stefania Sandrelli e Stefano Satta Flores -, passando per "La terrazza" (1980) e arrivando a "La cena" (1998).
Se Scola, però, tirò fuori il meglio di Gassman nella fase della maturità, a Monicelli e soprattutto a Risi si deve la nascita del "Mito Gassman": sbruffone, atletico e amato dalle donne, a cui letteralmente faceva perdere la testa.
In alto, da sinistra: Vittorio Gassman, Nino Manfredi e Stefano Satta Flores in "C'eravamo tanto amati".
In basso, Vittorio Gassman e Stefania Sandrelli ne "La terrazza".
Lui, tuttavia, ebbe soltanto quattro relazioni importanti e con quattro attrici: Nora Ricci (la prima moglie), Shelley Winters (la seconda), Juliette Mayniel e Diletta D'Andrea (la terza). Da queste ebbe rispettivamente i suoi quattro figli: Paola (attrice teatrale), Vittoria, Alessandro (noto attore di cinema) e Jacopo. Inoltre aggiungerei a queste anche la lunga relazione intrattenuta negli anni '50 con la splendida Anna Maria Ferrero, attrice che recitò con lui in cinema e in teatro, nei ruoli di Ofelia e Desdemona.
Pur continuando a recitare ancora sia sul grande schermo che in palcoscenico - portò in scena, tra le tante, "Moby Dick" di Herman Melville -, nell'ultima parte della sua carriera, Vittorio Gassman visse un periodo oscuro, minato dalla depressione. Quei mali di gioventù, quella sua difficoltà a relazionarsi apertamente con gli altri, quella sua ricerca interiore, vennero a galla all'improvviso, facendo emergere quel che era davvero, e che si discostava molto da ciò che appariva sullo schermo. Un uomo simpatico, estroverso e affascinante, ma profondamente malinconico, solitario. In questi anni scoprì la fede, che ricercò fino all'ultimo. Ritrovò l'antica passione per la scrittura, componendo poesie. Nonostante tutto, continuò ancora a calcare le scene: con i capelli argentati, il volto segnato e incorniciato da una barba ben curata, il suo fascino era addirittura maggiore. Divulgò, con il suo timbro profondo e inconfondibile, i canti della Divina Commedia, con la stessa serietà e professionalità con cui poi, nel programma televisivo "Tunnel", si prestò a fare delle ironiche "letture" di scontrini fiscali, menù, bollette del gas ed etichette di capi d'abbigliamento.
Furono anche anni di bilanci. Nel 1996, ricevette il Leone d'oro alla carriera a Venezia, e quattro anni dopo partecipò alla sua ultima pellicola: "La bomba" di Giulio Base, nelle parti di un vecchio boss malavitoso rintronato, in cui recitò accanto al figlio Alessandro, col quale già aveva lavorato sia al cinema che in teatro. Solo un anno dopo, il 29 giugno 2000, il vecchio "mattatore", l'eroe del palcoscenico, se ne andò quasi in silenzio, colto dalla morte nel sonno.
Negli ultimi anni aveva scherzato diverse volte su di essa. La morte era un argomento che affrontava spesso. La riteneva un "errore" del Padreterno, e dichiarò anche, scherzosamente, che non si riteneva affatto indispensabile, ma gli veniva difficile immaginare il mondo senza di lui: "Che farete da soli?". Ebbene, caro Vittorio, la risposta è una ed inequivocabile: cerchiamo di farci forza, continuando a ricordarti, a rivedere i tuoi splendidi film, ripensando alla tua profonda ironia e alla tua voce che ancora riecheggia nelle nostre orecchie. Il timbro di un vero condottiero della scena - altro che Brancaleone da Norcia - , un indiscusso mito della cinematografia nazionale ed un vero "sovrano" dello spettacolo. Più semplicemente, "Re" Vittorio.
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