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MARTA ABBA: LA "VITA" DI PIRANDELLO E DEL TEATRO ITALIANO

 È annoverata tra le più grandi interpreti del palcoscenico del Novecento. Con la sua presenza scenica e le sue immense doti artistiche fu illustre interprete del teatro di Pirandello, con cui instaurò un rapporto quasi simbiotico, suggellato da opere straordinarie e da un prezioso carteggio, da cui si evince una probabile "passione" del Maestro di Girgenti per la sua Musa.



Marta Abba fu tra le primissime protagoniste della gloriosa stagione teatrale del secolo scorso. Dimostrò fin da giovanissima una forte propensione per l'arte, riuscendo ad entrare non ancora maggiorenne all'Accademia dei filodrammatici di Milano - città in cui nacque il 25 giugno 1900. Diplomatasi a pieni voti, fece alcune esperienze in alcune compagnie filodrammatiche per poi entrare prima nella compagnia di Ettore Paladini poi in quella di Virgilio Talli, sotto la cui direzione si esibì ne "Il gabbiano" di Anton Cechov, nel 1924. Si fece subito notare per quelle qualità che la porteranno al successo: la recitazione naturale ed istintiva, l'enfasi che metteva nella interpretazione di ciascun personaggio unita alla sua straordinaria bellezza. E proprio grazie a quella interpretazione, il destino della Abba si unì a quello di Luigi Pirandello.



                                                                                                            Marta Abba con Luigi Pirandello.


Il Maestro, infatti, lesse una recensione fatta da Marco Praga - uno dei più celebri critici del tempo - che ne elogiava le grandi doti recitative. Fu così che decise di scritturarla come prima attrice nella sua compagnia, il Teatro d'Arte di Roma. Fu l'inizio di un lungo sodalizio che produsse opere eccezionali, molte delle quali scritte per lei da Pirandello, completamente travolto dalla sua forte personalità.
In pièce come "Diana e la Tuda" , "L'amica delle mogli" o "La nuova colonia", sembra quasi che il personaggio sia modellato su di lei e non il contrario: "fulve" e dagli "occhi di mare", le protagoniste di questi straordinari capolavori di Pirandello incarnavano perfettamente le caratteristiche della sua Musa,  per la quale provava molto più che semplice ammirazione.
 A testimoniarlo, il corposo scambio epistolare intrattenuto tra i due fino alla morte di lui.
Il Maestro le scrisse circa cinquecento lettere, ma la Musa rispose soltanto a duecento. Dalle loro parole, però, si evince una differente "interpretazione" del loro rapporto. Alla passionalità delle parole di Pirandello si contrappone la serietà, il distacco, quasi professionale, della Abba.
Il loro rapporto, tuttavia, proseguì anche dopo lo scioglimento della compagnia pirandelliana, quando la Abba ne costituì una propria, sul finire del 1929 - dopo un periodo trascorso a Berlino, dove Pirandello si era trasferito nella speranza di "tentare" il cinema.
Qui, accanto al repertorio pirandelliano (come "Trovarsi", con cui inaugurò il Teatro dei Fiorentini di Napoli nel '34), la Abba si cimentò anche con altri autori, come Goldoni ("La vedova scaltra") e D'Annunzio ("La figlia di Iorio").
Nello stesso periodo - dal 1933 al 1934 -, la Abba provò ad intraprendere la carriera cinematografica, ma con modesto successo, recitando da protagonista in due sole pellicole: "Il caso Haller" (1933) di Alessandro Blasetti - in cui comparve anche sua sorella, Celeste "Cele" Abba, al suo fianco sul palcoscenico dal '26 - e "Teresa Confalonieri" (1934) di Guido Brignone.
Nel 1936, invece, visse una breve parentesi a Broadway, negli Stati Uniti. Proprio qui, apprese della morte del suo Maestro - avvenuta il 10 dicembre. Due anni dopo, sposò un nipote di Millikin, il magnate dell'acciaio, ritirandosi dalle scene.
Tuttavia, dopo il divorzio da questi (nel 1952) fece ritorno in Italia tentando di riprendere la sua carriera. Insieme a Piero Carnabuci fondò una nuova compagnia, scioltasi però dopo pochi anni di attività. Alla fine degli anni '50, infatti, Marta Abba abbandonò definitivamente le scene, rifugiandosi nei pressi di Aulla, nella Lunigiana (Massa Carrara), in una villa da lei ribattezzata "Trovarsi": un richiamo ad un suo vecchio successo pirandelliano ma - forse - anche un "profetico" tentativo di recuperare un rapporto con se stessa.
La sua vita proseguì in solitudine fino alla fine. Ammalata, costretta a vivere su una sedia a rotelle, l'anziana artista, gloria ed onore del teatro italiano, se ne andò il giorno prima del suo compleanno, il 24 giugno 1988, nella clinica Santa Rita di Milano.

Oggi, a centoventi anni dalla sua nascita, si capisce ancor di più cosa abbia potuto significare la sua scomparsa. Se infatti per lei "il sipario" si chiuse ben quarant'anni prima, la sua morte risuonò come la "fine" di un'epoca che non sarebbe più ritornata. L'età d'oro del teatro italiano per cui Marta Abba - esattamente come per il suo Maestro - fu vera e propria "vita".

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