LUIGI MALABROCCA: IL CAMPIONE DEGLI "ULTIMI"
"Gli ultimi saranno i primi", disse il Signore. E quella frase, nell'Italia del Dopoguerra, sembrava destinata a diventare realtà, anche nello sport più popolare di tutti: il ciclismo. In un Paese in cui tutti "pedalavano" verso il futuro, con in testa Bartali e Coppi a contendersi la fatidica "maglia rosa", c'era anche chi non puntava ad essere tra i primi, ma il primo tra gli "ultimi".
Costui era Luigi Malabrocca, corridore originario di Tortona, in provincia d'Alessandria - dove nacque il 22 giugno 1920 -, che aveva messo in atto una tecnica infallibile (o quasi) per guadagnarsi la "maglia nera", il premio per l'ultimo classificato al Giro d'Italia. La "maglia nera" - il cui nome prende spunto da Giuseppe Ticozzelli, ex calciatore degli anni '20, che si presentò al Giro del 1926 indossando una maglia da calciatore di colore nero - venne introdotta nel 1946: veniva data come premio di consolazione a chi non ce l'aveva fatta, ma comunque aveva portato a termine la gara tagliando per ultimo il traguardo.
Luigi Malabrocca, detto il "Mala", "Luisìn" o anche "Il Cinese" - per via dei suoi caratteristici occhi a mandorla -, era un ragazzo di umili condizioni. Ultimo di sette figli, padre ferroviere e madre casalinga, era uno di quei giovani che nell'Italia laboriosa degli anni '40 e '50 cercavano di rifarsi una vita dopo la fame e gli stenti della guerra. I proventi delle competizioni ciclistiche erano un buon modo per guadagnare qualcosa. Al Giro del 1946, il primo dopo la ripresa delle competizioni sportive, Luigi Malabrocca si classificò ultimo, quattro ore dopo "Ginettaccio" Bartali, conquistando così la "maglia nera" appena istituita, più i premi in denaro e natura - uova, salumi, bottiglie d'olio - offerte da sponsor e tifosi per "consolare" il perdente. Luisìn capì così che quella era la sua strada: arrivare ultimo, che non era certo semplice. Perché bisognava farlo nei tempi prestabiliti e soprattutto facendo almeno finta di gareggiare seriamente. Così Malabrocca mise in atto una tattica precisa: staccare il gruppo, avanzarlo di un bel po' e poi sparire, nascondendosi dietro una siepe, sotto un ponte, in un fienile, fermandosi a mangiare e bere nelle osterie, o forando volutamente le gomme. Tutto ciò bastava a consentirgli il giusto distacco così da raggiungere il traguardo per ultimo e beccarsi l'agognato premio del "perdente". Fu così che l'anno successivo, nel 1947, arrivò "primo fra gli ultimi" per la seconda volta, staccando l'amico e conterraneo Fausto Coppi - vincitore della "maglia rosa" - di ben cinque ore.
Due anni dopo, però, il suo piano fallì. In quel Giro si ritrovò a competere con un altro "perdente", il muratore vicentino Sante Carollo, col quale ingaggiò un duello "all'ultimo posto". Luigi Malabrocca staccò ben presto l'avversario, per poi rifugiarsi prima in una osteria, poi in una casa privata, fermandosi a bere e mangiare. Carollo tagliò il traguardo prima di lui, credendo che il "Mala" si fosse ritirato. Luisìn, però, si attardò troppo, giungendo all'arrivo quando ormai i cronisti se ne erano già andati, classificandolo come penultimo corridore dopo Carollo, che si aggiudicò la "maglia nera". Fu così che Luigi Malabrocca, incapace di accettare l'affronto subito, decise di non correre più per quella maglia lì, che dopotutto venne ufficialmente abolita nel 1951, anche per la pressione dei corridori - che ritenevano indecoroso e offensivo nei confronti dello sport questo gareggiare per perdere.
Che poi, in fondo, Malabrocca non era affatto malaccio come corridore: vinse ben centotrentotto competizioni, di cui quindici da professionista - come la Parigi-Nantes nel 1947, il Giro di Croazia e Slovenia nel 1949 - e fu ben due volte campione d'Italia di ciclocross prima del ritiro definitivo dalle competizioni nel 1956. Da quel momento si rintanò nella sua cascina di Garlasco, in provincia di Pavia, dove si spense il 1° ottobre 2006.
Ancora oggi, però, ad un secolo dalla nascita, la sua memoria è viva e vitale, grazie anche alla nipote, Serena Malabrocca, che si prodiga nel mantenerne vivo il ricordo e il suo grande esempio di tenacia e determinazione che ne hanno fatto un vero eroe, sebbene degli ultimi. Perché l'Italia della Ricostruzione, contadina, un po' bigotta, ma profondamente genuina e creativa, era soprattutto il paese di chi era in grado di ingegnarsi, di trovare una soluzione anche dove non sembrava ci fosse.
E per far questo non era necessario essere veloci e rapidi, arrivare in cima a tutti, "solo al comando" come Coppi o Bartali. Bisognava soprattutto riuscire a resistere, mescolando astuzia e intelligenza, strategia e determinazione. Proprio come Luigi Malabrocca, il campione degli ultimi, nel suo folle Giro "all'indietro" che ha segnato la storia ciclistica italiana.
"Gli ultimi saranno i primi", disse il Signore. E quella frase, nell'Italia del Dopoguerra, sembrava destinata a diventare realtà, anche nello sport più popolare di tutti: il ciclismo. In un Paese in cui tutti "pedalavano" verso il futuro, con in testa Bartali e Coppi a contendersi la fatidica "maglia rosa", c'era anche chi non puntava ad essere tra i primi, ma il primo tra gli "ultimi".
Costui era Luigi Malabrocca, corridore originario di Tortona, in provincia d'Alessandria - dove nacque il 22 giugno 1920 -, che aveva messo in atto una tecnica infallibile (o quasi) per guadagnarsi la "maglia nera", il premio per l'ultimo classificato al Giro d'Italia. La "maglia nera" - il cui nome prende spunto da Giuseppe Ticozzelli, ex calciatore degli anni '20, che si presentò al Giro del 1926 indossando una maglia da calciatore di colore nero - venne introdotta nel 1946: veniva data come premio di consolazione a chi non ce l'aveva fatta, ma comunque aveva portato a termine la gara tagliando per ultimo il traguardo.
Luigi Malabrocca, detto il "Mala", "Luisìn" o anche "Il Cinese" - per via dei suoi caratteristici occhi a mandorla -, era un ragazzo di umili condizioni. Ultimo di sette figli, padre ferroviere e madre casalinga, era uno di quei giovani che nell'Italia laboriosa degli anni '40 e '50 cercavano di rifarsi una vita dopo la fame e gli stenti della guerra. I proventi delle competizioni ciclistiche erano un buon modo per guadagnare qualcosa. Al Giro del 1946, il primo dopo la ripresa delle competizioni sportive, Luigi Malabrocca si classificò ultimo, quattro ore dopo "Ginettaccio" Bartali, conquistando così la "maglia nera" appena istituita, più i premi in denaro e natura - uova, salumi, bottiglie d'olio - offerte da sponsor e tifosi per "consolare" il perdente. Luisìn capì così che quella era la sua strada: arrivare ultimo, che non era certo semplice. Perché bisognava farlo nei tempi prestabiliti e soprattutto facendo almeno finta di gareggiare seriamente. Così Malabrocca mise in atto una tattica precisa: staccare il gruppo, avanzarlo di un bel po' e poi sparire, nascondendosi dietro una siepe, sotto un ponte, in un fienile, fermandosi a mangiare e bere nelle osterie, o forando volutamente le gomme. Tutto ciò bastava a consentirgli il giusto distacco così da raggiungere il traguardo per ultimo e beccarsi l'agognato premio del "perdente". Fu così che l'anno successivo, nel 1947, arrivò "primo fra gli ultimi" per la seconda volta, staccando l'amico e conterraneo Fausto Coppi - vincitore della "maglia rosa" - di ben cinque ore.
Due anni dopo, però, il suo piano fallì. In quel Giro si ritrovò a competere con un altro "perdente", il muratore vicentino Sante Carollo, col quale ingaggiò un duello "all'ultimo posto". Luigi Malabrocca staccò ben presto l'avversario, per poi rifugiarsi prima in una osteria, poi in una casa privata, fermandosi a bere e mangiare. Carollo tagliò il traguardo prima di lui, credendo che il "Mala" si fosse ritirato. Luisìn, però, si attardò troppo, giungendo all'arrivo quando ormai i cronisti se ne erano già andati, classificandolo come penultimo corridore dopo Carollo, che si aggiudicò la "maglia nera". Fu così che Luigi Malabrocca, incapace di accettare l'affronto subito, decise di non correre più per quella maglia lì, che dopotutto venne ufficialmente abolita nel 1951, anche per la pressione dei corridori - che ritenevano indecoroso e offensivo nei confronti dello sport questo gareggiare per perdere.
Che poi, in fondo, Malabrocca non era affatto malaccio come corridore: vinse ben centotrentotto competizioni, di cui quindici da professionista - come la Parigi-Nantes nel 1947, il Giro di Croazia e Slovenia nel 1949 - e fu ben due volte campione d'Italia di ciclocross prima del ritiro definitivo dalle competizioni nel 1956. Da quel momento si rintanò nella sua cascina di Garlasco, in provincia di Pavia, dove si spense il 1° ottobre 2006.
Ancora oggi, però, ad un secolo dalla nascita, la sua memoria è viva e vitale, grazie anche alla nipote, Serena Malabrocca, che si prodiga nel mantenerne vivo il ricordo e il suo grande esempio di tenacia e determinazione che ne hanno fatto un vero eroe, sebbene degli ultimi. Perché l'Italia della Ricostruzione, contadina, un po' bigotta, ma profondamente genuina e creativa, era soprattutto il paese di chi era in grado di ingegnarsi, di trovare una soluzione anche dove non sembrava ci fosse.
E per far questo non era necessario essere veloci e rapidi, arrivare in cima a tutti, "solo al comando" come Coppi o Bartali. Bisognava soprattutto riuscire a resistere, mescolando astuzia e intelligenza, strategia e determinazione. Proprio come Luigi Malabrocca, il campione degli ultimi, nel suo folle Giro "all'indietro" che ha segnato la storia ciclistica italiana.
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