ALBERTO SORDI: MILLE ANIME, UN SOLO VOLTO
Ecco, si può dire che Alberto Sordi sia nato in jeans e maglietta bianca, con la mente rivolta oltreoceano ma lo sguardo sui succulenti bucatini all'amatriciana ingurgitati al grido di "Io te distruggo". Da quel momento in poi, impossibile - e forse anche inutile - citare tutti i suoi film e i suoi personaggi. Figure di italiani sbruffoni, moralisti, seduttori, mariti, scapoli, vedovi - dall'alto della Torre Velasca di Milano con una insuperabile Franca Valeri -, vigili - l'esilarante e sbruffone Otello Celletti -, medici - il dottor Tersilli medico della mutua - e chi più ne ha più ne metta.
Ma, tuttavia, è opportuno ricordare alcune pellicole importanti ed altre meno note. Tra le prime, "La grande guerra" (1959) di Monicelli con Gassman e la Mangano, "Tutti a casa" (1960) di Comencini con Eduardo De Filippo e Serge Reggiani, e "Una vita difficile" (1961) di Risi, con Claudio Gora e Lea Massari.
Tra le meno note, invece, citerei "Mafioso"(1962) di Lattuada e "Il boom" (1963), diretto da De Sica e sceneggiato da Zavattini: il racconto di un uomo che, in pieno miracolo economico, arriva a vendersi un occhio - nel vero senso della parola - pur di garantire alla moglie il suo status sociale di borghese benestante.
Ma parlare di Alberto Sordi significa anche parlare di Rodolfo Sonego, il suo sceneggiatore di fiducia, e di Piero Piccioni, compositore delle più belle melodie dei suoi film, che lo accompagnarono durante la sua lunga carriera di regista iniziata nel 1966 con "Fumo di Londra".
Inoltre, un ruolo fondamentale nella sua vita e nella sua carriera lo hanno svolto le donne. Sebbene, come si sa, Sordi non si sia mai sposato, vivendo per tutta la vita con le sue inseparabili sorelle, Savina (morta nel 1972) e Aurelia (morta nel 2014), ebbe comunque numerose relazioni - rimaste sempre al di là dell'uscio dove non erano ammessi "estranei", secondo una sua famosa battuta - difficilmente venute allo scoperto, vista la sua estrema riservatezza.
Di sicuro, ebbe una lunga storia d'amore con la collega Andreina Pagnani (più grande di lui) e amò Silvana Mangano, ma furono molti i flirt attribuitigli nel corso degli anni. Così come molteplici furono le sue partner sullo schermo: dalle sopracitate Franca Valeri e Silvana Mangano a Claudia Cardinale, da Giovanna Ralli a Marisa Merlini, dalla straordinaria Monica Vitti - con cui diede vita ad un sodalizio vincente, segnato da pellicole come "Polvere di stelle", "Amore mio aiutami" e "Io so che tu sai che io so" -, fino ad arrivare alla "buzzicona" Anna Longhi ( "Il tassinaro", "Un tassinaro a New York") e Valeria Marini.
Alcune di queste, furono al suo fianco nei ben diciannove film diretti dallo stesso Sordi, molti dei quali considerati inferiori, soprattutto quelli appartenenti all'ultima parte della sua carriera. D'altronde, tra le sue ultime migliori interpretazioni spicca "Un borghese piccolo piccolo" (1977), diretto però da Monicelli e non da lui. Tuttavia, a mio avviso, benché senza dubbio le sue ultime opere non siano certo veri e propri capolavori - paragonate all'era d'oro degli anni '50 e '60 - credo sia opportuno citare "Nestore, l'ultima corsa" del 1994: la storia di un vetturino e del suo cavallo, entrambi vecchi e destinati a una tragica sorte (ospizio e mattatoio).
Ma tra gli ultimi film non si può non citare "Il marchese del Grillo"(1981) di Monicelli e "In viaggio con papà" (1982), diretto da Sordi ed interpretato accanto a Carlo Verdone, da lui considerato suo erede - e che a sua volta lo diresse in "Troppo forte" nel 1986.
Tuttavia, accanto al cinema, è opportuno citare anche la televisione, uno strumento dove apparve molto poco, ma ottenendo sempre un gran successo: dai duetti con Mina, la Carrà (il famoso "Tuca tuca") e le Kessler della tv in bianco e nero, fino ad arrivare a quello con Heather Parisi in "Fantastico 5" (1984) e all'interpretazione di don Abbondio nella miniserie tv "I promessi sposi" (1989) di Salvatore Nocita.
Gli anni '90 videro le ultime tappe della sua carriera. Dopo l'ultimo premio importante, il Leone d'Oro alla carriera ricevuto insieme a Monica Vitti nel 1995, arrivò l'ultimo film, "Incontri proibiti" nel 1998, in cui accanto a Valeria Marini comparve anche Franca Faldini, l'ultima compagna di Totò (col quale Sordi lavorò nel 1951 nel film di Steno e Monicelli "Totò e i re di Roma"), che proprio per lui ritornò al cinema dopo anni di assenza.
Col nuovo millennio, invece, arrivarono anche i suoi ottant'anni, il 15 giugno 2000, celebrati con grandi manifestazioni nella Capitale di cui fu "sindaco per un giorno" per volere dell'allora primo cittadino Francesco Rutelli.
L'età, però, cominciava già a farsi sentire. In più, nel 2001 si ammalò di cancro ai polmoni e le sue apparizioni pubbliche si diradarono sempre più. Nel dicembre 2002, infine, avrebbe dovuto partecipare a una serata in suo onore al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, ma per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute fu costretto a rinunciare. Solo due mesi dopo, il 24 febbraio 2003, Alberto Sordi se ne andò, nella sua casa di Roma, lasciando l'intero Paese in lacrime.
Me compreso, che allora avevo circa undici anni ma conoscevo già gran parte dei suoi film.
Ricordo ancora le immagini della camera ardente in Campidoglio e dei suoi funerali nella Basilica di San Giovanni in Laterano, gremita di gente. Così come ricordo di aver trascorso quei giorni con una profonda tristezza, scossa da momenti di felicità grazie ai numerosi film riproposti in tv e alla rivista "GENTE" con uno speciale a lui dedicato, regalatami da mia nonna.
Allora non avrei mai creduto di ritrovarmi un giorno qui a scrivere anch'io un articolo su di lui, e spero davvero di averlo fatto bene. Se in quell'Oltre in cui si trova adesso potesse leggere quest'articolo ne sarei felice. Per ora mi accontenterò del parere dei miei lettori, in attesa di conoscere il suo perché anche Lassù, come cantava lui, "prima o poi c'annamo tutti". Credo non sia necessario aggiungere altro, anzi mi scuso per essermi un po' dilungato ma per il centenario di "Albertone", l'uomo dalle mille anime racchiuse in un solo volto, mi sembrava il minimo.
"Casetta de Trastevere, casa de mamma mia...". Chissà se l'ha mai cantata lui, che in quel quartiere tanto popolare quanto affascinante, fucina d'artisti e operai, artigiani e commercianti, vide la luce
cento anni fa. Alberto Sordi, "core de Roma", il 15 giugno 1920 faceva la sua "apparizione".
La prima di una lunga serie che lo ha visto indiscusso protagonista dello spettacolo, col suo faccione,
gli occhioni azzurri e l'irresistibile sorriso: canzonatorio e sincero, enigmatico o ironico, a seconda delle circostanze sceniche. E forse non ho sbagliato a parlare di "apparizione", visto che Alberto Sordi capì fin da subito che la sua strada era lo spettacolo. Amava l'esibizione, che fosse canora o recitativa, e ancora ragazzino si presentava a Cinecittà, il "tempio" del cinema, per rimediare qualche comparsata, marinando la scuola pur di seguire il suo sogno.
Per far contenti i genitori - la madre, Maria Righetti, maestra elementare, ed il padre Pietro, musicista e insegnante di musica - prese il diploma da ragioniere, ma non smise mai di portare avanti con determinazione la sua passione.
Non ancora maggiorenne si recò a Milano per frequentare l'Accademia dei filodrammatici, ma fu un buco nell'acqua: con la sua parlata "romana" e il carattere "genuino" della sua recitazione
- plasmato sulla gente del suo quartiere - venne profondamente scoraggiato e mandato via.
Nel frattempo, arrivò il suo primo ruolo vero, come comparsa, interpretando un centurione romano
in "Scipione l'Africano" di Carmine Gallone, nel 1937. La svolta per la sua carriera, però, arrivò col doppiaggio. Grazie alla caratteristica voce da baritono - studiò canto lirico e fece anche parte del coro
della Cappella Sistina -, vinse il concorso indetto dalla Metro-Goldwyn Mayer come doppiatore italiano di Oliver Hardy nei film del duo comico "Stanlio & Ollio".
Ma la sua voce gli consentì anche di arrivare alla sua vera vocazione: la recitazione. Dopo aver intrapreso il teatro di rivista - passando anche per la compagnia di Aldo Fabrizi - fu proprio il suo timbro a consentirgli di raggiungere il grande pubblico con la radio, dove diede vita a personaggi riproposti in seguito anche al cinema e alla televisione: personaggi tratti dalla sua vita quotidiana, da quella Roma respirata fin dai primi vagiti.
I più celebri erano "Mario Pio" - che molti anni dopo diventò oggetto di imitazione da parte del grande Noschese - e "I compagnucci della parrocchietta" - ragazzini "perbene", logorroici e assillanti conosciuti da Sordi frequentando gli ambienti dell'Azione Cattolica -, uno dei quali permise a Sordi di approdare per la prima volta sul grande schermo da protagonista. Infatti, Vittorio De Sica - grande ammiratore della sua trasmissione - gli propose di portare al cinema uno dei suoi personaggi "da parrocchia", con "Mamma mia, che impressione!" diretto da Roberto Savarese e sceneggiato da Zavattini e Sordi.
Era il 1951: col tormentone "Signorina Margheriiitaaa!", un biondissimo Sordi presentò la sua prima maschera cinematografica, ma il successo non fu quello sperato, così come i pareri della critica. Lui, però, decise di non mollare. Un anno dopo l'amico fraterno Federico Fellini gli offrì un secondo ruolo da protagonista nel suo film d'esordio alla regia, "Lo sceicco bianco": un ulteriore fallimento di pubblico e critica. Nel 1953, però, arrivò finalmente la prima soddisfazione. Fu ancora Fellini a sceglierlo tra i protagonisti di uno dei suoi più grandi capolavori: "I vitelloni", accanto a Leopoldo Trieste, Franco Fabrizi e Franco Interlenghi.
Il nome di Sordi - come richiesto dalla produzione - inizialmente non comparve sul manifesto, ma il suo famoso gesto dell'ombrello, con tanto di urlo ("Lavoratori!") e pernacchia, lo consacrò al pubblico. Il 1954 fu l'anno decisivo, col celebre personaggio di Nando Mericoni, il giovane romano che sognava l'America ma non sapeva rinunciare al "maccarone" al sugo. Apparve per la prima volta nel film corale "Un giorno in pretura" di Steno, dove offuscò tutti gli altri interpreti, convincendo il regista a dedicargli un' intera pellicola che sarà poi "Un americano a Roma", uscito nello stesso anno.
cento anni fa. Alberto Sordi, "core de Roma", il 15 giugno 1920 faceva la sua "apparizione".
La prima di una lunga serie che lo ha visto indiscusso protagonista dello spettacolo, col suo faccione,
gli occhioni azzurri e l'irresistibile sorriso: canzonatorio e sincero, enigmatico o ironico, a seconda delle circostanze sceniche. E forse non ho sbagliato a parlare di "apparizione", visto che Alberto Sordi capì fin da subito che la sua strada era lo spettacolo. Amava l'esibizione, che fosse canora o recitativa, e ancora ragazzino si presentava a Cinecittà, il "tempio" del cinema, per rimediare qualche comparsata, marinando la scuola pur di seguire il suo sogno.
Per far contenti i genitori - la madre, Maria Righetti, maestra elementare, ed il padre Pietro, musicista e insegnante di musica - prese il diploma da ragioniere, ma non smise mai di portare avanti con determinazione la sua passione.
Non ancora maggiorenne si recò a Milano per frequentare l'Accademia dei filodrammatici, ma fu un buco nell'acqua: con la sua parlata "romana" e il carattere "genuino" della sua recitazione
- plasmato sulla gente del suo quartiere - venne profondamente scoraggiato e mandato via.
Nel frattempo, arrivò il suo primo ruolo vero, come comparsa, interpretando un centurione romano
in "Scipione l'Africano" di Carmine Gallone, nel 1937. La svolta per la sua carriera, però, arrivò col doppiaggio. Grazie alla caratteristica voce da baritono - studiò canto lirico e fece anche parte del coro
della Cappella Sistina -, vinse il concorso indetto dalla Metro-Goldwyn Mayer come doppiatore italiano di Oliver Hardy nei film del duo comico "Stanlio & Ollio".
Ma la sua voce gli consentì anche di arrivare alla sua vera vocazione: la recitazione. Dopo aver intrapreso il teatro di rivista - passando anche per la compagnia di Aldo Fabrizi - fu proprio il suo timbro a consentirgli di raggiungere il grande pubblico con la radio, dove diede vita a personaggi riproposti in seguito anche al cinema e alla televisione: personaggi tratti dalla sua vita quotidiana, da quella Roma respirata fin dai primi vagiti.
Alberto Sordi con Olga Villi nella rivista "Ritorna Za-bum" (1943). |
I più celebri erano "Mario Pio" - che molti anni dopo diventò oggetto di imitazione da parte del grande Noschese - e "I compagnucci della parrocchietta" - ragazzini "perbene", logorroici e assillanti conosciuti da Sordi frequentando gli ambienti dell'Azione Cattolica -, uno dei quali permise a Sordi di approdare per la prima volta sul grande schermo da protagonista. Infatti, Vittorio De Sica - grande ammiratore della sua trasmissione - gli propose di portare al cinema uno dei suoi personaggi "da parrocchia", con "Mamma mia, che impressione!" diretto da Roberto Savarese e sceneggiato da Zavattini e Sordi.
Alberto Sordi in "Mamma mia, che impressione!". |
Era il 1951: col tormentone "Signorina Margheriiitaaa!", un biondissimo Sordi presentò la sua prima maschera cinematografica, ma il successo non fu quello sperato, così come i pareri della critica. Lui, però, decise di non mollare. Un anno dopo l'amico fraterno Federico Fellini gli offrì un secondo ruolo da protagonista nel suo film d'esordio alla regia, "Lo sceicco bianco": un ulteriore fallimento di pubblico e critica. Nel 1953, però, arrivò finalmente la prima soddisfazione. Fu ancora Fellini a sceglierlo tra i protagonisti di uno dei suoi più grandi capolavori: "I vitelloni", accanto a Leopoldo Trieste, Franco Fabrizi e Franco Interlenghi.
Sordi nella celebre scena de "I vitelloni" (1953). |
Il nome di Sordi - come richiesto dalla produzione - inizialmente non comparve sul manifesto, ma il suo famoso gesto dell'ombrello, con tanto di urlo ("Lavoratori!") e pernacchia, lo consacrò al pubblico. Il 1954 fu l'anno decisivo, col celebre personaggio di Nando Mericoni, il giovane romano che sognava l'America ma non sapeva rinunciare al "maccarone" al sugo. Apparve per la prima volta nel film corale "Un giorno in pretura" di Steno, dove offuscò tutti gli altri interpreti, convincendo il regista a dedicargli un' intera pellicola che sarà poi "Un americano a Roma", uscito nello stesso anno.
La leggendaria scena del "maccarone": "Un americano a Roma" (1954). |
Ecco, si può dire che Alberto Sordi sia nato in jeans e maglietta bianca, con la mente rivolta oltreoceano ma lo sguardo sui succulenti bucatini all'amatriciana ingurgitati al grido di "Io te distruggo". Da quel momento in poi, impossibile - e forse anche inutile - citare tutti i suoi film e i suoi personaggi. Figure di italiani sbruffoni, moralisti, seduttori, mariti, scapoli, vedovi - dall'alto della Torre Velasca di Milano con una insuperabile Franca Valeri -, vigili - l'esilarante e sbruffone Otello Celletti -, medici - il dottor Tersilli medico della mutua - e chi più ne ha più ne metta.
Da sinistra: "Il moralista" (1959), "Il vigile" (1960) e "Il medico della mutua" (1968). |
Ma, tuttavia, è opportuno ricordare alcune pellicole importanti ed altre meno note. Tra le prime, "La grande guerra" (1959) di Monicelli con Gassman e la Mangano, "Tutti a casa" (1960) di Comencini con Eduardo De Filippo e Serge Reggiani, e "Una vita difficile" (1961) di Risi, con Claudio Gora e Lea Massari.
A sinistra, Alberto Sordi con Vittorio Gassman e Folco Lulli ne "La grande guerra" (1959). A destra, con Serge Reggiani in "Tutti a casa" (1960). |
Tra le meno note, invece, citerei "Mafioso"(1962) di Lattuada e "Il boom" (1963), diretto da De Sica e sceneggiato da Zavattini: il racconto di un uomo che, in pieno miracolo economico, arriva a vendersi un occhio - nel vero senso della parola - pur di garantire alla moglie il suo status sociale di borghese benestante.
"Il mafioso" (1962) e "Il boom" (1963). |
Ma parlare di Alberto Sordi significa anche parlare di Rodolfo Sonego, il suo sceneggiatore di fiducia, e di Piero Piccioni, compositore delle più belle melodie dei suoi film, che lo accompagnarono durante la sua lunga carriera di regista iniziata nel 1966 con "Fumo di Londra".
"Fumo di Londra" (1966). |
Inoltre, un ruolo fondamentale nella sua vita e nella sua carriera lo hanno svolto le donne. Sebbene, come si sa, Sordi non si sia mai sposato, vivendo per tutta la vita con le sue inseparabili sorelle, Savina (morta nel 1972) e Aurelia (morta nel 2014), ebbe comunque numerose relazioni - rimaste sempre al di là dell'uscio dove non erano ammessi "estranei", secondo una sua famosa battuta - difficilmente venute allo scoperto, vista la sua estrema riservatezza.
In alto, Alberto Sordi e Franca Valeri ne "Il vedovo" (1959). In basso, con Lea Massari in "Una vita difficile" (1961). |
Di sicuro, ebbe una lunga storia d'amore con la collega Andreina Pagnani (più grande di lui) e amò Silvana Mangano, ma furono molti i flirt attribuitigli nel corso degli anni. Così come molteplici furono le sue partner sullo schermo: dalle sopracitate Franca Valeri e Silvana Mangano a Claudia Cardinale, da Giovanna Ralli a Marisa Merlini, dalla straordinaria Monica Vitti - con cui diede vita ad un sodalizio vincente, segnato da pellicole come "Polvere di stelle", "Amore mio aiutami" e "Io so che tu sai che io so" -, fino ad arrivare alla "buzzicona" Anna Longhi ( "Il tassinaro", "Un tassinaro a New York") e Valeria Marini.
In alto, Alberto Sordi con Claudia Cardinale in "Bello, onesto, emigrato Australia..."(1971). In basso, con Monica Vitti in "Polvere di stelle"(1973). |
Alcune di queste, furono al suo fianco nei ben diciannove film diretti dallo stesso Sordi, molti dei quali considerati inferiori, soprattutto quelli appartenenti all'ultima parte della sua carriera. D'altronde, tra le sue ultime migliori interpretazioni spicca "Un borghese piccolo piccolo" (1977), diretto però da Monicelli e non da lui. Tuttavia, a mio avviso, benché senza dubbio le sue ultime opere non siano certo veri e propri capolavori - paragonate all'era d'oro degli anni '50 e '60 - credo sia opportuno citare "Nestore, l'ultima corsa" del 1994: la storia di un vetturino e del suo cavallo, entrambi vecchi e destinati a una tragica sorte (ospizio e mattatoio).
Ma tra gli ultimi film non si può non citare "Il marchese del Grillo"(1981) di Monicelli e "In viaggio con papà" (1982), diretto da Sordi ed interpretato accanto a Carlo Verdone, da lui considerato suo erede - e che a sua volta lo diresse in "Troppo forte" nel 1986.
In alto, Alberto Sordi con Vincenzo Crocitti in "Un borghese piccolo piccolo" (1977). In basso, con Carlo Verdone ne "In viaggio con papà" (1982). |
Tuttavia, accanto al cinema, è opportuno citare anche la televisione, uno strumento dove apparve molto poco, ma ottenendo sempre un gran successo: dai duetti con Mina, la Carrà (il famoso "Tuca tuca") e le Kessler della tv in bianco e nero, fino ad arrivare a quello con Heather Parisi in "Fantastico 5" (1984) e all'interpretazione di don Abbondio nella miniserie tv "I promessi sposi" (1989) di Salvatore Nocita.
In alto, "Il marchese del Grillo" (1981) , in basso, "Il tassinaro" (1983). |
Gli anni '90 videro le ultime tappe della sua carriera. Dopo l'ultimo premio importante, il Leone d'Oro alla carriera ricevuto insieme a Monica Vitti nel 1995, arrivò l'ultimo film, "Incontri proibiti" nel 1998, in cui accanto a Valeria Marini comparve anche Franca Faldini, l'ultima compagna di Totò (col quale Sordi lavorò nel 1951 nel film di Steno e Monicelli "Totò e i re di Roma"), che proprio per lui ritornò al cinema dopo anni di assenza.
"Nestore, l'ultima corsa" (1994). |
Col nuovo millennio, invece, arrivarono anche i suoi ottant'anni, il 15 giugno 2000, celebrati con grandi manifestazioni nella Capitale di cui fu "sindaco per un giorno" per volere dell'allora primo cittadino Francesco Rutelli.
Alberto Sordi con Valeria Marini in "Incontri proibiti" (1998). |
L'età, però, cominciava già a farsi sentire. In più, nel 2001 si ammalò di cancro ai polmoni e le sue apparizioni pubbliche si diradarono sempre più. Nel dicembre 2002, infine, avrebbe dovuto partecipare a una serata in suo onore al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, ma per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute fu costretto a rinunciare. Solo due mesi dopo, il 24 febbraio 2003, Alberto Sordi se ne andò, nella sua casa di Roma, lasciando l'intero Paese in lacrime.
Me compreso, che allora avevo circa undici anni ma conoscevo già gran parte dei suoi film.
Ricordo ancora le immagini della camera ardente in Campidoglio e dei suoi funerali nella Basilica di San Giovanni in Laterano, gremita di gente. Così come ricordo di aver trascorso quei giorni con una profonda tristezza, scossa da momenti di felicità grazie ai numerosi film riproposti in tv e alla rivista "GENTE" con uno speciale a lui dedicato, regalatami da mia nonna.
Allora non avrei mai creduto di ritrovarmi un giorno qui a scrivere anch'io un articolo su di lui, e spero davvero di averlo fatto bene. Se in quell'Oltre in cui si trova adesso potesse leggere quest'articolo ne sarei felice. Per ora mi accontenterò del parere dei miei lettori, in attesa di conoscere il suo perché anche Lassù, come cantava lui, "prima o poi c'annamo tutti". Credo non sia necessario aggiungere altro, anzi mi scuso per essermi un po' dilungato ma per il centenario di "Albertone", l'uomo dalle mille anime racchiuse in un solo volto, mi sembrava il minimo.
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