WALTER TOBAGI, LA VERITA' "OLTRE"
"Lo sforzo che si deve fare è guardare la realtà nei suoi termini più prosaici, nell'infinita gamma delle sue contraddizioni". Contraddizioni, l'unica cosa che non mancava nell'Italia degli anni '70, perduta tra sangue, stragi e terrorismo. Walter Tobagi lo sapeva, e proprio per questo riteneva che bisognava andare oltre l'apparente per cogliere la verità. E fu proprio questa la sua unica "colpa". Se quarant'anni fa, il 28 maggio 1980, il suo corpo senza vita si accasciò al suolo dopo esser stato colpito da cinque pallottole, la causa fu proprio la sua ricerca del vero ad ogni costo, il non limitarsi a raccontare i fatti ma a spiegare quanto accadeva, ad andare "oltre". Walter Tobagi amava il suo lavoro, era la sua passione.
Fin da ragazzino, quando scriveva per la rivista "La zanzara", il giornale della sua scuola, il Liceo Parini di Milano - città in cui negli anni '50 si era trasferito con i genitori da Spoleto, in Umbria, dove nacque il 18 marzo 1947. Dopo la maturità, si laureò in filosofia alla Statale di Milano, con una tesi sull'attività sindacale nel Dopoguerra. Poco dopo, ottenne anche una cattedra in "Storia Contemporanea". Il giornalismo, però, era ciò che amava di più. Ancora studente universitario iniziò a collaborare con la testata del Partito socialista "Avanti!", poi col quotidiano cattolico "Avvenire". Qui iniziò ad occuparsi degli scioperi e delle rivolte studentesche che insorsero in tutto il Paese alla fine degli anni '60. Walter Tobagi iniziò subito a farsi notare per le sue indubbie doti di osservatore, di profondo analizzatori dei fatti, di verifica continua delle fonti e delle "prove": un lavoro complesso, lungo e scrupoloso, a volte eccessivo, ma garanzia della sua professionalità. Questo suo zelo, naturalmente, gli permise di seguire fatti di cronaca importanti, occupandosi di molti dei tragici eventi che affliggevano i cosiddetti "anni di piombo": dalle stragi alle rivolte studentesche, al terrorismo e alla nascita dei gruppi armati, primo fra tutti le Brigate Rosse.
La svolta della sua carriera arrivò nel 1972, quando venne assunto al "Corriere della Sera", la principale testata nazionale, dopo un breve periodo al "Corriere di Informazione", l'edizione serale.
Da quel momento in poi Walter Tobagi divenne una delle "penne" più prodigiose, con articoli ed inchieste attente, acute, cercando sempre di andare al di là del fenomeno e di spiegarlo nei minimi particolari. Analizzò in particolar modo il fenomeno terrorismo, cercò di capire come riesca a trovare "terreno fertile" nelle fabbriche - frequentò gli ambienti sindacali - e tra gli studenti. Soprattutto in città come Genova o Milano, dove di fatto le Brigate Rosse si costituirono ufficialmente. Ma Walter Tobagi capì anche come - all'indomani del rapimento e dell'uccisione di Moro, nel 1978, e dopo la mobilitazione della gente a seguito dell'assassinio dell'operaio e sindacalista Guido Rossa, l'anno successivo - le Brigate Rosse fossero in realtà molto più deboli di quel che sembra. Di questo si rese conto soprattutto all'indomani del 28 marzo 1980, quando a Genova venne smantellato il covo delle BR in via Fracchia: segno di una forte vulnerabilità dell'organizzazione. E tutto questo lo scrisse, chiaramente, senza paura. La verità, ad ogni costo. Ma quella verità, quel suo senso civico ed etico radicati fortemente in una coscienza libera e consapevole, gli costarono la vita. Il 28 maggio 1980, alle ore 11, Walter Tobagi era appena uscito dalla sua abitazione a Milano. Stava percorrendo a piedi via Salaino per raggiungere la suo auto e recarsi in redazione. Proprio lungo il tragitto, un commando di terroristi appartenenti alla "Brigata 28 marzo", capeggiata da Marco Barbone, lo assalì scaricandogli addosso cinque colpi, uno dei quali lo colpì dritto al cuore. In pochi mesi, le indagini portarono a smantellare l'intera organizzazione terroristica, con centinaia di arresti. Tuttavia, la sentenza definitiva del processo, il 28 novembre 1983, portò alla scarcerazione immediata dei pentiti che avevano collaborato alle indagini, tra cui lo stesso Marco Borbone, leader dell'organizzazione ed esecutore materiale dell'attentato.
Ma, come è accaduto per tutti coloro che, in quegli anni difficili, pieni di assurdità e poveri di umanità, hanno dato tutto di sé per "il bene", anche Walter Tobagi quel piovoso mattino di quarant'anni fa non è morto affatto.
Il suo esempio è vivo, come la sua passione e determinazione, come il suo giornalismo autentico e vero, come il suo impegno nell'andare "oltre", in nome di ciò che non solo è possibile ma anche necessario. Un vero e proprio dovere e, a mio avviso, il vero senso del ricordare l'ennesima vittima immolata in nome della verità.
"Lo sforzo che si deve fare è guardare la realtà nei suoi termini più prosaici, nell'infinita gamma delle sue contraddizioni". Contraddizioni, l'unica cosa che non mancava nell'Italia degli anni '70, perduta tra sangue, stragi e terrorismo. Walter Tobagi lo sapeva, e proprio per questo riteneva che bisognava andare oltre l'apparente per cogliere la verità. E fu proprio questa la sua unica "colpa". Se quarant'anni fa, il 28 maggio 1980, il suo corpo senza vita si accasciò al suolo dopo esser stato colpito da cinque pallottole, la causa fu proprio la sua ricerca del vero ad ogni costo, il non limitarsi a raccontare i fatti ma a spiegare quanto accadeva, ad andare "oltre". Walter Tobagi amava il suo lavoro, era la sua passione.
Fin da ragazzino, quando scriveva per la rivista "La zanzara", il giornale della sua scuola, il Liceo Parini di Milano - città in cui negli anni '50 si era trasferito con i genitori da Spoleto, in Umbria, dove nacque il 18 marzo 1947. Dopo la maturità, si laureò in filosofia alla Statale di Milano, con una tesi sull'attività sindacale nel Dopoguerra. Poco dopo, ottenne anche una cattedra in "Storia Contemporanea". Il giornalismo, però, era ciò che amava di più. Ancora studente universitario iniziò a collaborare con la testata del Partito socialista "Avanti!", poi col quotidiano cattolico "Avvenire". Qui iniziò ad occuparsi degli scioperi e delle rivolte studentesche che insorsero in tutto il Paese alla fine degli anni '60. Walter Tobagi iniziò subito a farsi notare per le sue indubbie doti di osservatore, di profondo analizzatori dei fatti, di verifica continua delle fonti e delle "prove": un lavoro complesso, lungo e scrupoloso, a volte eccessivo, ma garanzia della sua professionalità. Questo suo zelo, naturalmente, gli permise di seguire fatti di cronaca importanti, occupandosi di molti dei tragici eventi che affliggevano i cosiddetti "anni di piombo": dalle stragi alle rivolte studentesche, al terrorismo e alla nascita dei gruppi armati, primo fra tutti le Brigate Rosse.
La svolta della sua carriera arrivò nel 1972, quando venne assunto al "Corriere della Sera", la principale testata nazionale, dopo un breve periodo al "Corriere di Informazione", l'edizione serale.
Da quel momento in poi Walter Tobagi divenne una delle "penne" più prodigiose, con articoli ed inchieste attente, acute, cercando sempre di andare al di là del fenomeno e di spiegarlo nei minimi particolari. Analizzò in particolar modo il fenomeno terrorismo, cercò di capire come riesca a trovare "terreno fertile" nelle fabbriche - frequentò gli ambienti sindacali - e tra gli studenti. Soprattutto in città come Genova o Milano, dove di fatto le Brigate Rosse si costituirono ufficialmente. Ma Walter Tobagi capì anche come - all'indomani del rapimento e dell'uccisione di Moro, nel 1978, e dopo la mobilitazione della gente a seguito dell'assassinio dell'operaio e sindacalista Guido Rossa, l'anno successivo - le Brigate Rosse fossero in realtà molto più deboli di quel che sembra. Di questo si rese conto soprattutto all'indomani del 28 marzo 1980, quando a Genova venne smantellato il covo delle BR in via Fracchia: segno di una forte vulnerabilità dell'organizzazione. E tutto questo lo scrisse, chiaramente, senza paura. La verità, ad ogni costo. Ma quella verità, quel suo senso civico ed etico radicati fortemente in una coscienza libera e consapevole, gli costarono la vita. Il 28 maggio 1980, alle ore 11, Walter Tobagi era appena uscito dalla sua abitazione a Milano. Stava percorrendo a piedi via Salaino per raggiungere la suo auto e recarsi in redazione. Proprio lungo il tragitto, un commando di terroristi appartenenti alla "Brigata 28 marzo", capeggiata da Marco Barbone, lo assalì scaricandogli addosso cinque colpi, uno dei quali lo colpì dritto al cuore. In pochi mesi, le indagini portarono a smantellare l'intera organizzazione terroristica, con centinaia di arresti. Tuttavia, la sentenza definitiva del processo, il 28 novembre 1983, portò alla scarcerazione immediata dei pentiti che avevano collaborato alle indagini, tra cui lo stesso Marco Borbone, leader dell'organizzazione ed esecutore materiale dell'attentato.
Ma, come è accaduto per tutti coloro che, in quegli anni difficili, pieni di assurdità e poveri di umanità, hanno dato tutto di sé per "il bene", anche Walter Tobagi quel piovoso mattino di quarant'anni fa non è morto affatto.
Il suo esempio è vivo, come la sua passione e determinazione, come il suo giornalismo autentico e vero, come il suo impegno nell'andare "oltre", in nome di ciò che non solo è possibile ma anche necessario. Un vero e proprio dovere e, a mio avviso, il vero senso del ricordare l'ennesima vittima immolata in nome della verità.
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