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SIR ALFRED HITCHCOCK: IL MAESTRO DEL BRIVIDO

“C'è qualcosa di più importante della logica: l'immaginazione. Se si pensa subito alla logica, non si può immaginare più niente". Pensandoci, in tutti i suoi film - in quelle trame fatte di "sensazioni", "assurdo" ma anche "semplicità" -, di sicuro l'immaginazione ha giocato un ruolo di primo piano. Alfred Hitchcok, infatti, ha "immaginato" scenari spettacolari e semplici, macabri ed ironici, dando vita a pellicole entrate nella storia della cinematografia mondiale.




E in effetti la sua stessa figura, analizzata senza il filtro della immaginazione, avrebbe fatto pensare a chiunque tranne che ad un "maestro" del thriller. Distinto nel vestire, alto, grassoccio, pelato e dal volto paffuto, dava più l'idea di un "grigio" impiegato che di una mente eccelsa abile a navigare nei meandri della "metà oscura" del mondo. Complice, probabilmente, la sua infanzia trascorsa nell'Est-End, a Londra, dove nacque il 13 agosto 1899. Figlio di commercianti di religione cattolica, ricevette una educazione molto rigida e "perbene". Studiò anche dai Gesuiti per poi frequentare alcuni corsi universitari (Ingegneria), senza però conseguire alcun titolo. Tuttavia, il piccolo Alfred aveva molte passioni: leggere, disegnare, scrivere e fantasticare. Soprattutto a teatro, dove spesso si recava con la famiglia. L'immaginazione, quindi, lo accompagnò fin dall'infanzia, portandolo,
 nei primi anni '20 a frequentare il mondo del cinema "da dentro". Di giorno, lavorava in una fabbrica che realizzava impianti elettrici (inizialmente come tecnico, poi come pubblicitario scrivendo anche sulla rivista aziendale), la sera, invece, si occupava di montaggi e sceneggiatore alla "Gainsborough Pictures", diventando aiuto regista di Graham Cutts.
Da lì, iniziò l'ascesa, esordendo come regista nel campo del "muto" con "Pleasure Garden" (1926), fino ad arrivare al primo titolo più noto, la prima pellicola "sonora" "Blackmail" (1929). Proprio sul lavoro, in quello stesso periodo, conobbe Alma Reville - anche lei impiegata nel cinema -, con la quale convolò a nozze dando vita ad un sodalizio sentimentale e professionale che durò fino alla sua scomparsa. La vera svolta nella carriera di Hitchcock, però, arrivò col Dopoguerra. Trasferitosi negli Stati Uniti, a Hollywood,  perfezionò la sua tecnica, il suo linguaggio, sviluppando quello stile unico che caratterizzò la sua intera opera.
                           
               
                             Joan Fontaine e Laurence Olivier in "Rebecca", primo grande successo di Hitchcock.


Il primo prodotto fu "Rebecca - la prima moglie", nel 1940, con Laurence Olivier e Joan Fontaine -tratto dall'omonimo romanzo di Daphne du Maurier -, che gli valse una candidatura all'Oscar (la prima di una lunga serie) come miglior regista l'anno successivo. Ma è con gli anni '50 che Hitchcock produsse i suoi primi veri capolavori entrati nella storia del cinema mondiale, fondendo psicologia e sentimenti, normale ed assurdo, logica ed immaginazione con risultati strabilianti.


                  


                                           In alto, le locandine di alcuni tra i più noti capolavori di Alfred Hitchcock.


Da "La finestra sul cortile" (1954) a "L'uomo che sapeva troppo" (1956) - remake di un suo film inglese - e "Intrigo internazionale" (1959), dal celeberrimo "Psyco" (1960) a "Gli uccelli" (1963). Tutte pellicole che raccontano di uomini e donne "qualunque" ritrovatisi in situazioni "eccezionali".
Ma tra il 1955 e il 1962, Alfred Hitchcock - con la sua figura distinta e apparentemente "normale" e il suo sguardo enigmatico -, approdò anche sul piccolo schermo con la serie televisiva "Alfred Hitchcock presenta" (trasmessa anche in Italia nel 1959), in cui raccontava storie criminali surreali e grottesche, nel suo perfetto stile cinematografico. La trasmissione, di gran successo, gli valse un Golden Globe nel 1958.



                                            Hitchcock nella serie televisiva "Alfred Hitchock presenta".



Tuttavia, benché la sua popolarità cominciasse a crescere, negli anni '60 ci furono alcuni
"fiaschi", come "Il sipario strappato" (1966) e "Topaz" (1969). Cominciò così un periodo un po' morto, suggellato, però, nel 1972 da un altro Golden Globe alla carriera e dal film "Frenzy": una pellicola a basso ma di gran successo girata nella sua Londra - dove ritornò dopo tempo.
Nel 1975, invece, uscì il suo ultimo film, "Complotto di famiglia". Di idee, però, ne aveva ancora tante. Tra i suoi ultimi progetti, "The short night" pellicola a cui stava lavorando poco prima della sua scomparsa.
Le sue condizioni di salute, però, erano già precarie - da tempo soffriva d'artrite e viveva con un pacemaker - ed anche sua moglie Alma - sua assistente in fase di progettazione e instancabile compagna al suo fianco - era gravemente ammalata.
Ebbe giusto il tempo di prendersi una piccola soddisfazione: il 13 agosto 1979 festeggiò i suoi ottant'anni con una cerimonia pomposa in perfetto stile hollywoodiano e, nel gennaio successivo, la Regina Elisabetta gli conferì anche il titolo di "Sir". Soltanto pochi mesi dopo, il 29 aprile 1980, Alfred Hitchcock rientrò "nel buio" - quello vero -, andandosene per cause naturali, proprio come un "grigio" uomo qualunque.

A quarant'anni dalla sua scomparsa, però, Hitchcock resta il più grande regista di tutti i tempi, riscoperto e ricaduto nell'oblio, amato e snobbato, ma l'unico in grado di traghettarci verso terre sconosciute come la psiche umana, tra sentimenti repressi e apparenti "banalità", tra situazioni scabrose e grottesche, ma anche con una certa ironia, spesso sadica, e quel savoir faire che ne hanno fatto il "maestro del brivido".





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