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LA "DIVINA" MANGANO

Bella e brava. Sembrerebbe un complimento banale. Riduttivo nei confronti di un'attrice che ha fatto la storia del nostro cinema. Ma sono convinto che a lei piacerebbe molto essere definita così:
semplicemente bella e brava. Perché Silvana Mangano era entrambe le cose, nella sua semplicità di donna e di artista, premiata dal successo ma, in qualche modo, "punita" dalla vita.
La sua storia cominciò a Roma, dove nacque - il 21 aprile 1930 - da padre siciliano, ferroviere, e da madre inglese, casalinga. La sua carriera, invece, iniziò a Milano, dove, ancora adolescente, frequentò alcuni corsi di danza sotto la direzione di Jia Ruskaja.



Qui, venne notata dal costumista francese Georges Armenkov che la convinse a trasferirsi in Francia per lavorare come indossatrice, il suo primo impiego. Nel frattempo, si affacciò anche al cinema, prendendo parte ad alcuni film come comparsa. Debuttò nel film francese “Le jugement dernier”, diretto da René Chanas, nel 1945, ma ebbe anche un piccolo ruolo ne "Il delitto di Giovanni Episcopo" di Alberto Lattuada, nel 1947. Nello stesso anno, si classificò seconda alla finale di "Miss Italia", subito dopo Lucia Bosè. Ma la grande occasione arrivò due anni dopo, scelta da Giuseppe De Santis come protagonista nel capolavoro neorealista "Riso amaro", accanto a Vittorio Gassman, Doris Dowling e Raf Vallone.


                                                            Silvana Mangano in "Riso amaro".

Col ruolo della mondina procace e sfacciata, Silvana Mangano raggiunse il successo internazionale, divenendo un vero sex-symbol. Le sue lunghe gambe, il corpo sinuoso e quello sguardo tagliente, fecero di Silvana Mangano un'icona femminile del Dopoguerra, spalancandole le porte del cinema.
Interpretò personaggi simili a quello di "Riso amaro" come in "Anna" di Lattuada, nel 1951 (in cui  interpreta una ballerina di night che si fa suora), affiancata ancora da Vallone e Gassman oppure - ancora da protagonista - in "Mambo" di Robert Rossen, nel 1955, sempre con Gassman.



                                                    Silvana Mangano con Raf Vallone in "Anna".


Ma recitò anche in film più "popolari", come "Il brigante Musolino" di Mario Camerini, nel 1950, con Amedeo Nazzari, oppure "Uomini e lupi", diretta ancora da De Santis, nel 1957 - in cui rischiò anche la vita, assalita da un lupo utilizzato per le riprese del film.


         
                                           In alto, Silvana Mangano con Kirk Douglas in "Ulisse".
                                                   In basso, con Erno Crisa ne "L'oro di Napoli".



Il 1954, però, è considerato l'anno della prima svolta della sua carriera. Oltre ad aver recitato nel kolossal "Ulisse" di Camerini - accanto a Kirk Douglas e Anthony Quinn - nel doppio ruolo di Penelope e Circe, guadagnò il suo primo Nastro d'argento come miglior attrice non protagonista per "L'oro di Napoli" di Vittorio De Sica, dove è Teresa, una prostituta umiliata, in un matrimonio "pro forma", da parte di un uomo che vuole tenere fede ad un voto. Grazie a quell'interpretazione, Silvana Mangano svelò una parte di sé sconosciuta: non più la ragazza formosa e sfacciata, la pin-up da copertina, ma un'attrice "vera", raffinata, come dimostrò pienamente negli anni successivi, sebbene la sua vita privata - come già detto - venisse prima di ogni altra cosa.



                                       Silvana Mangano con Vittorio Gassman ne "La grande guerra".


Infatti, dopo una relazione giovanile con Marcello Mastroianni, Silvana Mangano conobbe sul set di "Riso amaro" il produttore Dino De Laurentiis, col quale convolò a nozze qualche anno dopo dandogli quattro figli: Veronica, Raffaella, Federico e Francesca. Forse, proprio per via di De Laurentiis - molto geloso -, la Mangano rifiutò un ruolo (dato poi ad Anouk Aimeé) ne "La dolce vita" di Fellini. Ma non mancarono ancora ruoli importanti, sia drammatici ("La diga sul Pacifico" di René Clèment), sia più "leggeri" ("La grande guerra" di Monicelli e "Crimen" di Camerini).
Nel 1963, poi, riscosse grande successo nel ruolo di Edda Ciano, diretta da Carlo Lizzani ne "Il processo di Verona", ottenendo un altro Nastro d'argento e un David di Donatello.


                                                  In alto, Silvana Mangano nei panni di Giocasta in "Edipo re".
                                                  In basso, in quelli della madre di Tadzio in "Morte a Venezia".




Ma, proprio sul finire degli anni '60, Silva Mangano - ormai magrissima e lontana da quelle "rotondità" di un tempo - raggiunse una maturità, in termini interpretativi, ancora superiore, grazie a due grandi registi: Pier Paolo Pasolini e Luchino Visconti. Con questi due "maestri", le sue doti artistiche vennero messe ancor più in risalto, a vantaggio di una "bellezza" totalmente diversa: inconsistente, quasi eterea, e sublime. Tra i suoi ruoli migliori, Giocasta in "Edipo re" (1967), diretta
da Pasolini, e la madre di Tadzio in "Morte a Venezia" (1971), diretta  da Visconti.



                                 Da sinistra, Silvana Mangano, Alberto Sordi e Bette Davis ne "Lo scopone scientifico".


Nello stesso periodo, esattamente nel 1972, mise in gran luce le sue doti comiche ne "Lo scopone scientifico" di Luigi Comencini, accanto ad Alberto Sordi, Domenico Modugno e la star hollywoodiana Bette Davis, guadagnando un secondo David di Donatello.
Tuttavia, accanto al successo, c'è una vita privata piena di dolore e insoddisfazione. Dopo il matrimonio con De Laurentiis, cominciò a dedicare sempre meno spazio al cinema.
Fatta eccezione per i numerosi set sopraelencati, la Mangano passò gran parte del tempo in maestosi saloni di ville sontuose che ben presto divennero "prigioni dorate" in cui sentirsi soltanto più sola e triste. Accanto a lei, però, c'erano i suoi figli, probabilmente il motivo per cui resistere. Fu proprio così che, nel 1981, quando il figlio Federico morì prematuramente in un incidente aereo, Silvana Mangano cadde in un forte stato depressivo, che contribuì alla rottura definitiva dei rapporti col marito, dal quale divorziò poco dopo.



                             Silvana Mangano con Marcello Mastroianni in "Oci ciornie", la sua ultima apparizione.


Cominciò così - seguita dalla sua accompagnatrice e consulente, l'attrice Teresa Pellati - a far la spola tra Roma e Madrid, in Spagna, dove viveva la figlia Francesca, fino a stabilirsi definitivamente lì.
Per la bella e brava Silvana il cinema, ormai, apparteneva al passato. Ebbe comunque l'occasione di ritornare sul grande schermo, per ben due volte: con "Dune" di David Lynch, nel 1984, spinta da sua figlia Raffaella (produttrice della pellicola), e nel capolavoro di Nikita Mikhalkov, "Oci ciornie", nel 1987, chiamata dal protagonista e vecchio amico Marcello Mastroianni. Fu il suo ultimo dono al pubblico. Due anni dopo, il 16 novembre 1989, Silvana Mangano se ne andò, nella clinica "La Luz" di Madrid, portata via da un cancro polmonare a soli cinquantanove anni. Un finale triste, amaro, non molto lontano da quella del suo primo ruolo di successo: la mondina sfrontata che finisce per suicidarsi pur di "cancellare" la colpa di aver rubato. "Punita" dalla vita, proprio come lei.
Il cinema, però, quello continua ancora a ricordarla, grazie all'immortalità dei suoi personaggi. Gli stessi che - a novant'anni dalla sua nascita - continuiamo ad amare, proprio come amiamo lei, la sua bellezza, e quella dolcezza celata dietro una apparente sfacciataggine. Perché questo è stata, è e sarà Silvana Mangano: bella e brava, seppur "divina" nella sua semplicità.

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