GIANRICO TEDESCHI "100": GLORIA E ONORE DEL TEATRO ITALIANO
È l'ultimo baluardo di un mondo scomparso. Un mondo di cui è stato protagonista per ben settant'anni della sua vita. Gianrico Tedeschi, immenso "animale da palcoscenico", è stato una "colonna" del teatro italiano fino a solo quattro anni fa, ed oggi, dopo un secolo di vita, porta con sé decenni di spettacoli e personaggi, tra teatro d'autore, rivista ma anche cinema e televisione.
Comincio a credere sul serio che basti fare ciò che si desidera, nella vita, per poter vivere bene.
Tedeschi ce lo ha dimostrato, abbandonando il palcoscenico a "soli" novantasei anni, al culmine di una carriera iniziata, pensate un po', durante la prigionia.
Gianrico Tedeschi, infatti, venne fatto prigioniero dai tedeschi dopo che, dalla sua Milano - dove è nato il 20 aprile 1920 -, partì per il fronte Greco durante la Seconda guerra mondiale. Aveva un diploma magistrale, frequentava il Magistero alla Cattolica di Milano, fin quando la patria lo chiamò a fare il suo dovere. Dopo l'8 settembre, insieme ad altri ufficiali che avevano rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò, venne fatto prigioniero dai tedeschi e internato nei campi di Beniaminovo prima, e di Sandbostel e Wietzendorf poi.
Qui, conobbe altri "grandi" della cultura italiana, come Giovannino Guareschi - papà di don Camillo e Peppone -, e proprio qui si esibì per la per la prima volta. Recitò l'Enrico IV di Pirandello per i suoi compagni. Proprio la lettura di libri "condivisi" tra i prigionieri, l'organizzazione di spettacoli e i momenti conviviali, portarono Gianrico Tedeschi a comprendere, in un momento difficile come quello, l'importanza del teatro come mezzo di evasione e comunicazione, ma soprattutto per se stesso, aiutandolo a resistere fino al momento della liberazione del campo da parte degli scozzesi (presentatisi in "gonnellino e cornamusa", come lui stesso ha raccontato). Finita la guerra - e dopo aver concluso il magistero - Gianrico Tedeschi sa quindi cosa vuole dalla vita. Per questo, si trasferì a Roma e frequentò l'Accademia d'Arte Drammatica, con maestri come Orazio Costa e Silvio D'amico, e compagni come Vittorio Gassman. Il suo primo debutto, nel 1947, con Giorgio Strehler. Nel 1950, entrò invece nella compagnia Cervi-Pagnani, accanto ad illustri colleghi come Gassman e Arnoldo Foà. Ma la vera svolta arrivò nel 1952, grazie a Luchino Visconti, che lo diresse ne "La locandiera" di Goldoni e in "Tre sorelle" di Checov.
Da sinistra, Mario Carotenuto, Delia Scala e Gianrico Tedeschi in "My fair lady".
Da lì, la sua carriera prese il volo, passando da grandi pièce come "La vedova scaltra" di Goldoni (1954) e "L'opera da tre soldi" di Brecht (1973) - sempre sotto la direzione di Strehler -, alla rivista musicale di Garinei & Giovannini, con "Enrico '61" (1961) e "My fair lady" (1964). Ma Gianrico Tedeschi, con la sua aria distinta e le sue straordinarie capacità recitative, è anche stato un volto noto della televisione italiana. Prese parte a molteplici sceneggiati come "Delitto e castigo" (1963) di Dostoevskij e "Il gabbiano" (1969) di Checov, ma anche a numerosissimi "Carosello".
Inoltre, Tedeschi partecipò ad oltre quaranta film (l'ultimo nel 2013, "Viva la libertà" di Roberto Andò), diretto da registi come Steno, Mario Mattòli, Marino Girolami, Mario Monicelli, Luciano Salce e Carlo Ludovico Bragaglia.
Da sinistra, Gianrico Tedeschi, Bice Valori e Gina Rovere nel film "Femmine tre volte".
Gianrico Tedeschi, però, è nato sul palcoscenico e proprio lì, su quelle tavole, dietro il sipario, ha dato il suo ultimo contributo artistico, concludendo così la sua brillante carriera.
Imbiancato, un po' ripiegato su se stesso dal tempo e dagli anni, ha varcato i confini del nuovo millennio, quasi a dispetto di un'epoca (quella odierna) che sembra non avere più spazio per il teatro.
Tra i suoi ultimi lavori, "La compagnia degli uomini" di Luca Ronconi nel 2011, "Farà giorno" di Piero Maccarinelli nel 2013, e "Dipartita finale" di Franco Branciaroli nel 2016.
In alto, Alberto Onofrietti e Gianrico Tedeschi in "Farà giorno".
In basso, da sinistra, Massimo Popolizio, Gianrico Tedeschi e Ugo Pagliai in "Dipartita finale".
Con quest'ultima opera, Tedeschi salutò il suo pubblico, ritirandosi nella sua casa di Pettenasco, borgo che si specchia nelle acque del Lago d'Orta, nel novarese.
Un posto speciale, immerso nella natura, dove, in compagnia della moglie Marianella Laszlo, festeggerà questo importante traguardo: tanto speciale quanto particolare, viste le circostanze che, purtroppo non gli permettono di contornarsi dei suoi amici e delle sue due figlie, Sveva ed Enrica (avuta dalla prima moglie), con la quale qualche anno fa scrisse un libro sulla sua vita e la sua carriera.
Ed anch'io, nel mio piccolo, volevo fare i miei personali auguri di buon compleanno a questo grande ed immenso interprete della scena e del teatro nazionale: gloria e onore dello spettacolo e della cultura italiana.
È l'ultimo baluardo di un mondo scomparso. Un mondo di cui è stato protagonista per ben settant'anni della sua vita. Gianrico Tedeschi, immenso "animale da palcoscenico", è stato una "colonna" del teatro italiano fino a solo quattro anni fa, ed oggi, dopo un secolo di vita, porta con sé decenni di spettacoli e personaggi, tra teatro d'autore, rivista ma anche cinema e televisione.
Comincio a credere sul serio che basti fare ciò che si desidera, nella vita, per poter vivere bene.
Tedeschi ce lo ha dimostrato, abbandonando il palcoscenico a "soli" novantasei anni, al culmine di una carriera iniziata, pensate un po', durante la prigionia.
Gianrico Tedeschi, infatti, venne fatto prigioniero dai tedeschi dopo che, dalla sua Milano - dove è nato il 20 aprile 1920 -, partì per il fronte Greco durante la Seconda guerra mondiale. Aveva un diploma magistrale, frequentava il Magistero alla Cattolica di Milano, fin quando la patria lo chiamò a fare il suo dovere. Dopo l'8 settembre, insieme ad altri ufficiali che avevano rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò, venne fatto prigioniero dai tedeschi e internato nei campi di Beniaminovo prima, e di Sandbostel e Wietzendorf poi.
Qui, conobbe altri "grandi" della cultura italiana, come Giovannino Guareschi - papà di don Camillo e Peppone -, e proprio qui si esibì per la per la prima volta. Recitò l'Enrico IV di Pirandello per i suoi compagni. Proprio la lettura di libri "condivisi" tra i prigionieri, l'organizzazione di spettacoli e i momenti conviviali, portarono Gianrico Tedeschi a comprendere, in un momento difficile come quello, l'importanza del teatro come mezzo di evasione e comunicazione, ma soprattutto per se stesso, aiutandolo a resistere fino al momento della liberazione del campo da parte degli scozzesi (presentatisi in "gonnellino e cornamusa", come lui stesso ha raccontato). Finita la guerra - e dopo aver concluso il magistero - Gianrico Tedeschi sa quindi cosa vuole dalla vita. Per questo, si trasferì a Roma e frequentò l'Accademia d'Arte Drammatica, con maestri come Orazio Costa e Silvio D'amico, e compagni come Vittorio Gassman. Il suo primo debutto, nel 1947, con Giorgio Strehler. Nel 1950, entrò invece nella compagnia Cervi-Pagnani, accanto ad illustri colleghi come Gassman e Arnoldo Foà. Ma la vera svolta arrivò nel 1952, grazie a Luchino Visconti, che lo diresse ne "La locandiera" di Goldoni e in "Tre sorelle" di Checov.
Da sinistra, Mario Carotenuto, Delia Scala e Gianrico Tedeschi in "My fair lady".
Da lì, la sua carriera prese il volo, passando da grandi pièce come "La vedova scaltra" di Goldoni (1954) e "L'opera da tre soldi" di Brecht (1973) - sempre sotto la direzione di Strehler -, alla rivista musicale di Garinei & Giovannini, con "Enrico '61" (1961) e "My fair lady" (1964). Ma Gianrico Tedeschi, con la sua aria distinta e le sue straordinarie capacità recitative, è anche stato un volto noto della televisione italiana. Prese parte a molteplici sceneggiati come "Delitto e castigo" (1963) di Dostoevskij e "Il gabbiano" (1969) di Checov, ma anche a numerosissimi "Carosello".
Inoltre, Tedeschi partecipò ad oltre quaranta film (l'ultimo nel 2013, "Viva la libertà" di Roberto Andò), diretto da registi come Steno, Mario Mattòli, Marino Girolami, Mario Monicelli, Luciano Salce e Carlo Ludovico Bragaglia.
Da sinistra, Gianrico Tedeschi, Bice Valori e Gina Rovere nel film "Femmine tre volte".
Gianrico Tedeschi, però, è nato sul palcoscenico e proprio lì, su quelle tavole, dietro il sipario, ha dato il suo ultimo contributo artistico, concludendo così la sua brillante carriera.
Imbiancato, un po' ripiegato su se stesso dal tempo e dagli anni, ha varcato i confini del nuovo millennio, quasi a dispetto di un'epoca (quella odierna) che sembra non avere più spazio per il teatro.
Tra i suoi ultimi lavori, "La compagnia degli uomini" di Luca Ronconi nel 2011, "Farà giorno" di Piero Maccarinelli nel 2013, e "Dipartita finale" di Franco Branciaroli nel 2016.
In alto, Alberto Onofrietti e Gianrico Tedeschi in "Farà giorno".
In basso, da sinistra, Massimo Popolizio, Gianrico Tedeschi e Ugo Pagliai in "Dipartita finale".
Con quest'ultima opera, Tedeschi salutò il suo pubblico, ritirandosi nella sua casa di Pettenasco, borgo che si specchia nelle acque del Lago d'Orta, nel novarese.
Un posto speciale, immerso nella natura, dove, in compagnia della moglie Marianella Laszlo, festeggerà questo importante traguardo: tanto speciale quanto particolare, viste le circostanze che, purtroppo non gli permettono di contornarsi dei suoi amici e delle sue due figlie, Sveva ed Enrica (avuta dalla prima moglie), con la quale qualche anno fa scrisse un libro sulla sua vita e la sua carriera.
Ed anch'io, nel mio piccolo, volevo fare i miei personali auguri di buon compleanno a questo grande ed immenso interprete della scena e del teatro nazionale: gloria e onore dello spettacolo e della cultura italiana.
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