ENNIO FLAIANO: UN UOMO CON I PIEDI FORTEMENTE POGGIATI SULLE NUVOLE
“Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa. Questo, per me, è il senso dello scrivere”. Non si può dubitare che l'autore di questa frase sia lui, Ennio Flaiano. Uno che con le parole ha saputo esprimere tutto. Allineate, una dietro l'altra, a formare i suoi buffi e irriverenti aforismi pieni di verità, le sue parole hanno varcato i confini del tempo, giungendo fino ad oggi e mai perdendo in attualità. Ma Flaiano è stato anche scrittore, giornalista, e sceneggiatore di veri capolavori del cinema del Dopoguerra, in primis quelli di Federico Fellini.
Flaiano nacque - ultimo di sette figli - a Pescara, il 5 marzo 1910. Passò gran parte della sua infanzia spostandosi da una città all'altra e da un collegio all'altro per poi, nel 1922 (lo stesso giorno della famosa "Marcia su Roma"), arrivare nella Capitale, città che sentirà sempre sua. È proprio qui che Ennio Flaiano costruisce la sua fama di scrittore ed umorista, cominciando come critico letterario e cinematografico su diverse riviste, per poi approdare al cinema, all'indomani della Seconda Guerra, collaborando con i più grandi registi del tempo: da Mario Monicelli a Mario Soldati, da Dino Risi a Pietro Germi, da Luigi Zampa a Federico Fellini. Gran parte dell'opera del maestro riminese è stata infatti sceneggiata da Flaiano: "Lo sceicco bianco", "La dolce vita", "8 1/2", "Giulietta degli spiriti", solo per citarne alcuni.
Ennio Flaiano con Federico Fellini ed Anita Ekberg.
Ma Flaiano è stato anche autore di alcuni soggetti teatrali e di diverse racconti. Celeberrimo il romanzo "Tempo di uccidere" - vincitore del Premio Strega nel 1947 -, in cui racconta la sua esperienza nella Guerra d'Etiopia. Accanto al mondo del cinema, però, Flaiano ha anche collaborato con diverse testate giornalistiche come "Il Mondo", "l'Espresso", "L'Europeo" e il "Corriere della Sera".
Proprio con quest'ultimo concluse la sua carriera, pubblicando un articolo autobiografico il 5 novembre 1972. Già in condizioni precarie (aveva avuto un infarto due anni prima), Ennio Flaiano se ne andò quindici giorni dopo, il 20 novembre, a causa di un attacco cardiaco che lo colpì durante un ricovero per accertamenti.
Oggi, a centodieci anni dalla sua nascita, di Ennio Flaiano si sente parlare molto poco. Eppure, la sua presenza c'è. C'è nei film da lui sceneggiati, come "La dolce vita" di Fellini o "Guardie e ladri" di Monicelli e Steno, "Signore & signori" di Pietro Germi, ancora oggi considerati dei capolavori indimenticabili. Ma c'è soprattutto il suo umorismo, contenuto in quegli aforismi, grotteschi e pungenti a volte ma profondamente veri, attraverso cui Ennio Flaiano, "un uomo con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole", è sempre riuscito a descrivere una realtà che, ancora oggi, appare immutata.
“Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa. Questo, per me, è il senso dello scrivere”. Non si può dubitare che l'autore di questa frase sia lui, Ennio Flaiano. Uno che con le parole ha saputo esprimere tutto. Allineate, una dietro l'altra, a formare i suoi buffi e irriverenti aforismi pieni di verità, le sue parole hanno varcato i confini del tempo, giungendo fino ad oggi e mai perdendo in attualità. Ma Flaiano è stato anche scrittore, giornalista, e sceneggiatore di veri capolavori del cinema del Dopoguerra, in primis quelli di Federico Fellini.
Flaiano nacque - ultimo di sette figli - a Pescara, il 5 marzo 1910. Passò gran parte della sua infanzia spostandosi da una città all'altra e da un collegio all'altro per poi, nel 1922 (lo stesso giorno della famosa "Marcia su Roma"), arrivare nella Capitale, città che sentirà sempre sua. È proprio qui che Ennio Flaiano costruisce la sua fama di scrittore ed umorista, cominciando come critico letterario e cinematografico su diverse riviste, per poi approdare al cinema, all'indomani della Seconda Guerra, collaborando con i più grandi registi del tempo: da Mario Monicelli a Mario Soldati, da Dino Risi a Pietro Germi, da Luigi Zampa a Federico Fellini. Gran parte dell'opera del maestro riminese è stata infatti sceneggiata da Flaiano: "Lo sceicco bianco", "La dolce vita", "8 1/2", "Giulietta degli spiriti", solo per citarne alcuni.
Ennio Flaiano con Federico Fellini ed Anita Ekberg.
Ma Flaiano è stato anche autore di alcuni soggetti teatrali e di diverse racconti. Celeberrimo il romanzo "Tempo di uccidere" - vincitore del Premio Strega nel 1947 -, in cui racconta la sua esperienza nella Guerra d'Etiopia. Accanto al mondo del cinema, però, Flaiano ha anche collaborato con diverse testate giornalistiche come "Il Mondo", "l'Espresso", "L'Europeo" e il "Corriere della Sera".
Le locandine di alcuni dei film più celebri sceneggiati da Flaiano.
Proprio con quest'ultimo concluse la sua carriera, pubblicando un articolo autobiografico il 5 novembre 1972. Già in condizioni precarie (aveva avuto un infarto due anni prima), Ennio Flaiano se ne andò quindici giorni dopo, il 20 novembre, a causa di un attacco cardiaco che lo colpì durante un ricovero per accertamenti.
Oggi, a centodieci anni dalla sua nascita, di Ennio Flaiano si sente parlare molto poco. Eppure, la sua presenza c'è. C'è nei film da lui sceneggiati, come "La dolce vita" di Fellini o "Guardie e ladri" di Monicelli e Steno, "Signore & signori" di Pietro Germi, ancora oggi considerati dei capolavori indimenticabili. Ma c'è soprattutto il suo umorismo, contenuto in quegli aforismi, grotteschi e pungenti a volte ma profondamente veri, attraverso cui Ennio Flaiano, "un uomo con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole", è sempre riuscito a descrivere una realtà che, ancora oggi, appare immutata.
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