" L'AMARO" INGANNO DI UNA "DOLCE VITA"
"La poesia bisogna sentirla, non capirla", diceva Giovannino Guareschi (il papà di don Camillo). Ebbene, credo che questa massima valga ancor di più per l'intera opera cinematografica di Federico Fellini e per quella che è considerata la migliore e senza dubbio la più conosciuta: "La dolce vita".
Marcello Mastroianni ed Anita Ekberg nella famosa scena della fontana di Trevi.
Il film, oggi considerato un capolavoro del cinema di tutti i tempi, fece la sua comparsa nelle sale nazionali proprio in questi giorni, sessant'anni fa esatti.
Nella notte tra il 2 e il 3 febbraio 1960, l'anteprima romana, due giorni dopo quella milanese. La pellicola che consacrò "stelle" come Marcello Mastroianni (che guadagnò un Nastro d'argento come miglior attore protagonista) ed Anita Ekberg, sollevò un polverone.
Fischi, applausi ed insulti (anche uno sputo in faccia al regista, presente all'anteprima di Milano) si mescolarono al clamore dei titoli della stampa. Dalle colonne de "L'Osservatore Romano" tuonò un "Basta!" oltre ad un provocatorio "La sconcia vita". Il popolo italiano si divise. Alcuni lo considerarono un oltraggio alla pubblica morale, un film "rosso" (Mastroianni, sempre alla prima di Milano, venne additato come "comunista").
Ma la maggior parte del pubblico e della critica approvò l'opera del regista riminese, che vinse una Palma d'oro al Festival di Cannes, un Oscar per i costumi e molteplici altri riconoscimenti.
Perché a guardare il film e soprattutto a rivederlo oggi - divenuto ormai un pezzo della nostra storia -, attraverso "La dolce vita" possiamo davvero "sentire" l'atmosfera di quella società.
Attraverso il personaggio di Marcello (Mastroianni), giornalista dedito ai pettegolezzi ma frustrato in quanto desideroso di darsi alla scrittura, Fellini fotografa l'atteggiamento tipico di chi ha vissuto quell'Italia e quella Roma: quella dei night club, dei festini privati, degli scandali degli attori, della "Hollywood sul Tevere", dei paparazzi a caccia di scoop e dei falsi moralismi.
La locandina del film.
Si mette in luce soprattutto la profonda infelicità della gente, costretta a fingere un apparente ottimismo, una gioia di vivere ostentata ma non realmente provata.
"Siamo rimasti così in pochi ad essere scontenti di noi stessi", dice Marcello
in una scena del film. La sensazione, però, è la stessa provata da chi ha davvero vissuto quegli anni di false apparenze, di riflettori perennemente puntati sulla gente, quasi a tracciare una via obbligata, da percorrere a tutti i costi. Proprio come Marcello, perduto tra bagordi, insoddisfazione e belle donne - l'artistocratica Maddalena (Anouk Aimée), l'attrice Sylvia (Anita Ekberg) che lo spinge ad un indimenticabile "bagno" nella fontana di Trevi ed Emma (Yvonne Furneaux), la sua fidanzata consapevole dei suoi tradimenti continui - in quella via Veneto piena di luci e di magia che sembrava promettere tutto, erano davvero in molti a comprendere quanta falsità ci fosse negli occhi, nei gesti e nelle parole di quella gente apparentemente gioiosa.
Forse, a rivederla oggi, "La dolce vita" svela in realtà una società non molto cambiata, ancora avvolta nel suo "dolce" apparire ma profondamente "amara" nell'essere.
"La poesia bisogna sentirla, non capirla", diceva Giovannino Guareschi (il papà di don Camillo). Ebbene, credo che questa massima valga ancor di più per l'intera opera cinematografica di Federico Fellini e per quella che è considerata la migliore e senza dubbio la più conosciuta: "La dolce vita".
Marcello Mastroianni ed Anita Ekberg nella famosa scena della fontana di Trevi.
Il film, oggi considerato un capolavoro del cinema di tutti i tempi, fece la sua comparsa nelle sale nazionali proprio in questi giorni, sessant'anni fa esatti.
Nella notte tra il 2 e il 3 febbraio 1960, l'anteprima romana, due giorni dopo quella milanese. La pellicola che consacrò "stelle" come Marcello Mastroianni (che guadagnò un Nastro d'argento come miglior attore protagonista) ed Anita Ekberg, sollevò un polverone.
Fischi, applausi ed insulti (anche uno sputo in faccia al regista, presente all'anteprima di Milano) si mescolarono al clamore dei titoli della stampa. Dalle colonne de "L'Osservatore Romano" tuonò un "Basta!" oltre ad un provocatorio "La sconcia vita". Il popolo italiano si divise. Alcuni lo considerarono un oltraggio alla pubblica morale, un film "rosso" (Mastroianni, sempre alla prima di Milano, venne additato come "comunista").
Ma la maggior parte del pubblico e della critica approvò l'opera del regista riminese, che vinse una Palma d'oro al Festival di Cannes, un Oscar per i costumi e molteplici altri riconoscimenti.
Perché a guardare il film e soprattutto a rivederlo oggi - divenuto ormai un pezzo della nostra storia -, attraverso "La dolce vita" possiamo davvero "sentire" l'atmosfera di quella società.
Attraverso il personaggio di Marcello (Mastroianni), giornalista dedito ai pettegolezzi ma frustrato in quanto desideroso di darsi alla scrittura, Fellini fotografa l'atteggiamento tipico di chi ha vissuto quell'Italia e quella Roma: quella dei night club, dei festini privati, degli scandali degli attori, della "Hollywood sul Tevere", dei paparazzi a caccia di scoop e dei falsi moralismi.
La locandina del film.
Si mette in luce soprattutto la profonda infelicità della gente, costretta a fingere un apparente ottimismo, una gioia di vivere ostentata ma non realmente provata.
"Siamo rimasti così in pochi ad essere scontenti di noi stessi", dice Marcello
in una scena del film. La sensazione, però, è la stessa provata da chi ha davvero vissuto quegli anni di false apparenze, di riflettori perennemente puntati sulla gente, quasi a tracciare una via obbligata, da percorrere a tutti i costi. Proprio come Marcello, perduto tra bagordi, insoddisfazione e belle donne - l'artistocratica Maddalena (Anouk Aimée), l'attrice Sylvia (Anita Ekberg) che lo spinge ad un indimenticabile "bagno" nella fontana di Trevi ed Emma (Yvonne Furneaux), la sua fidanzata consapevole dei suoi tradimenti continui - in quella via Veneto piena di luci e di magia che sembrava promettere tutto, erano davvero in molti a comprendere quanta falsità ci fosse negli occhi, nei gesti e nelle parole di quella gente apparentemente gioiosa.
Forse, a rivederla oggi, "La dolce vita" svela in realtà una società non molto cambiata, ancora avvolta nel suo "dolce" apparire ma profondamente "amara" nell'essere.
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