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"CAFE' EXPRESS": IL DOLCE/AMARO "AROMA" DELLA VITA

Il 16 febbraio 1980 veniva distribuito nelle sale italiane "Café Express": un film comico ma anche amaro e malinconico che mette in risalto il dramma di un uomo costretto ad arrangiarsi pur di campare. Il film è diretto da Nanni Loy, grande regista ed inventore - si può dire - della "candid camera" con programmi come "Specchio segreto" e "Viaggio in seconda classe". Proprio in quest'ultimo, infatti, Loy intervistava alcuni viaggiatori sui treni italiani e, tra questi, un venditore abusivo di caffè con un braccio paralizzato che gli diede l'ispirazione per il personaggio del film. Il ruolo del protagonista è affidato ad un "asso" della commedia all'italiana, Nino Manfredi che partecipò anche alla sceneggiatura del film, insieme a Nanni Loy e ad Elvio Porta - curatore anche del soggetto insieme al regista.


                                                Abbagnano Michele (Nino Manfredi) in una scena del film.



Passiamo ora alla trama. Abbagnano Michele (Manfredi) è un disoccupato napoletano con un braccio paralizzato che si arrabatta a vendere il caffé tutte le notti sulla tratta ferroviaria Vallo della Lucania - Napoli. Una notte, particolarmente fredda  e ventosa - "fischiava il vento e urlava la bufera" direbbe lui - il capotreno Sanguigno (Silvio Spaccesi) riceve alla stazione di Vallo un fonogramma che lo allerta a bloccare e consegnare alla polizia ferroviaria tale Abbagnano Michele.
Così, Sanguigno ed altri due ferrovieri salgono sul treno in partenza per Napoli. Michele comincia tranquillamente il suo giro, portando il suo "conforto" al viaggiatore e, di tanto in tanto, raccontando storie misteriose sul suo braccio paralizzato, rendendolo protagonista di presunte imprese eroiche da lui compiute. Ben presto, però, Michele si ritrova con non pochi problemi. Non solo rincorso dai ferrovieri ma anche da tre borseggiatori - Vittorio Caprioli, Vittorio Mezzogiorno
e Antonio Allocca - che vogliono coinvolgerlo nei loro furti e cercano di vendicarsi a seguito del suo rifiuto. In più, Michele scopre che sul treno è salito anche suo figlio "Cazzillo" (Giovanni Piscopo), scappato dal collegio e deciso a seguire suo padre.




   Da sinistra: Silvio Spaccesi, Nino Terzo, Luigi Basagaluppi e Gerardo Scala nella
                                 scena del fonogramma.



Il ragazzino, tra l'altro, soffre di una malattia congenita che comporterebbe un'operazione costosa che l'uomo non può permettersi.



                                      Da sinistra: Vittorio Mezzogiorno, Vittorio Caprioli e Nino Manfredi.



"Café Express" può essere benissimo definita una pellicola "On the rail", sul binario, essendo girata totalmente a bordo di un treno, tra vagoni, prima e seconda classe, "ritirate" e scompartimenti, battute a raffica e momenti di forte commozione, soprattutto sul finale.



                                    Nino Manfredi e Adolfo Celi nella scena della "verità" sul braccio.




Dopo varie peripezie, infatti, Abbagnano viene beccato dai ferrovieri e dalla polizia ferroviaria e, messo alle strette, minaccia anche di buttarsi giù dal treno. A dissuaderlo, l'intervento di un ispettore capo del Ministero (Adolfo Celi), proprio a pochi chilometri dall'arrivo alla stazione di Napoli. È lui a stendere il rapporto su Abbagnano ed è proprio a lui che l'uomo rivela la sua identità e la "verità" sul suo braccio, spiegando di fare tutto questo, di andare anche contro la legge, semplicemente perché costretto da una vita ingiusta ed "amara", proprio come quel "café" che quel giorno è costretto a mandar giù. Arrivati a destinazione, però, la burocrazia - o forse la Provvidenza? - interviene in suo aiuto. In mancanza di flagranza di reato - nessuno lo ha visto vendere il caffé -, di documenti, - la sua identità non è stata certificata-, né la polizia ferroviaria, né il capotreno e né l'ispettore capo vogliono prendersi la responsabilità di firmare la denuncia, lasciandolo libero di andare via. Così, dopo un iniziale spavento - dovuto anche al finto svenimento del figlio che aveva cercato di aiutarlo a sfuggire all'arresto -, Michele Abbagnano può finalmente prendere fiato e tornare a casa in attesa della sera quando, con il sorriso di sempre, sarebbe ritornato al suo "destino".



                  A sinistra, Nino Manfredi con Gigi Reder. A destra, con Silvio Spaccesi e Tano Cimarosa.


Oltre alla magistrale interpretazione di Nino Manfredi - premiata con un Nastro d'argento come miglior attore protagonista -, va segnalata la bravura dei comprimari: Adolfo Celi, l'austero ma sensibile ispettore capo, Silvio Spaccesi, il capotreno preoccupato per eventuali "ammanchi" sulle sue gratifiche giornaliere nel caso si fosse fatto scappare il venditore abusivo, fino ai ferrovieri, l'alcolizzato Vigorito (Luigi Basagaluppi) e il "raffreddato" Scognamiglio (Gerardo Scala).
Nel film sono presenti anche giovani (al tempo) attori del teatro partenopeo come Lina Sastri (nel ruolo della suora con "figli di Dio" a carico), Marzio Honorato e Marisa Laurito ( i due amanti dello "scopartimento"). In più, troviamo anche grandi caratteristi del cinema italiano come Nino Terzo (il capostazione di Vallo), Tano Cimarosa (Il maresciallo della polizia ferroviaria), Nino Vingelli ( Gennarino " 'O 'mbruglione", il finto prete che chiede l'elemosina) e Gigi Reder (" 'O prufessore", il portantino che procura a Michele i medicinali per il figlio, rubandoli nell'ospedale in cui lavora).



Ma non meno superlativo il trio dei ladruncoli con gli eccezionali Caprioli e Mezzogiorno, rispettivamente "boss" ed "esecutore", spalleggiati da un comicissimo Antonio Allocca nel ruolo del ladruncolo goffo e "cacasotto".
Se non fosse ambientato nel Sud Italia, questo film sembrerebbe scritto almeno trent'anni prima. Loy mette infatti in evidenza  le peripezie di un uomo immerso nella miseria e nella solitudine che fa di tutto pur di "tirare a campare". Sebbene infatti la pellicola sia di matrice comica, non mancano i momenti malinconici ed amari, che mettono in luce la rabbia e la tragedia che si celano dietro la maschera di un uomo che porta la "felicità" agli altri sperando così di rasserenare la propria esistenza. A rivederlo oggi, dopo quarant'anni, "Café Express", a mio avviso, svela non solo il realismo tipico che la cinepresa di Loy - e poche altre - era in grado di fotografare, ma anche molti aspetti "miseri" del nostro bel Paese che ancora oggi persistono: la disoccupazione, la legge beffarda e ingiusta, il "Male" che sfrutta la miseria per i propri scopi. In tutto questo, però - ed è qui che il Sud viene fuori -, entra in gioco la forza, la sensibilità e la gioia di vivere proprio di chi non ha nulla ma non si perde mai d'animo. Abbagnano Michele, nonostante un figlio malato a carico, una vita pietosa e un braccio paralizzato, non perde mai la determinazione ad andare avanti, sperando sempre nel domani. "Domani" che, anche quando sembra tutto perduto, arriva a dargli una seconda possibilità. Perché laddove non arriva la legge, ci pensa il cuore dell'uomo, come dimostra il finale con i "tutori dell'ordine" che se ne vanno via alla spicciolata, tutto sommato soddisfatti di non aver obbedito a regolamenti anche per loro, forse, troppo rigidi.
In conclusione, penso che questo film, girato a oltre duecento orari lungo i "binari" di una vita che sembra "deragliare" da un momento all'altro pur mantenendo sempre "la rotta", mostra a tutti, con leggerezza e realismo, il suo "aroma" dolce. Proprio quella dolce amarezza che, nonostante tutto, rende ogni vita degna di essere vissuta.


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