PIETRO DE VICO, INDIMENTICABILE "MACCHIETTA"
Il suo nome è legato indissolubilmente all'età d'oro del teatro napoletano, tra avanspettacolo e varietà, ma anche ai film di Totò, di cui fu abile "spalla" in scene esilaranti ed indimenticabili del nostro cinema. Pietro De Vico aveva le "physique du rôle" per fare il comico: piccolo di statura, dallo sguardo stralunato e il volto buffo, ha per decenni calcato i palcoscenici della sua Napoli - dove nacque il 21 febbraio 1911 - dedicandosi, parallelamente, anche al cinema e alla televisione.
Figlio d'arte, aveva ancora pochi mesi quando esordì sul palcoscenico per sostituire un bambolotto nella commedia di Scarpetta " 'Na creatura sperduta". Cominciò a lavorare nella compagnia paterna per poi costituirne una propria insieme ai due fratelli, Antonio e Mario, denominata il "Trio De Vico".
Negli anni '30 conobbe l'attrice romana Anna Campori, sua compagna in scena e nella vita fino alla fine dei suoi giorni. Proprio con lei, Pietro De Vico divenne un idolo dei bambini (e non solo)
quando negli anni '60 apparve sul grande schermo nella trasmissione per ragazzi "Giovanna, la nonna del Corsaro Nero", di cui sua moglie era la protagonista. Il suo ruolo era quello del nostromo Nicolino affetto da balbuzie. E proprio questo suo esilarante modo di "cacagliare", unito all'espressività del viso e all'aria stupita, fece di De Vico un validissimo caratterista del cinema, portando sulla scena le caricature di barbieri, gelatai, commercianti, impiegati e ruspanti contadini in decine di pellicole. La sua popolarità sul grande schermo è però legata soprattutto ai film girati con Totò. Indimenticabile, a mio avviso, il ruolo dello zotico a cui i trasformisti Totò e Camillo (Totò e Nino Taranto) trovano un improbabile impiego come "contatore di piccioni" nelle piazze italiane in "Totòtruffa '62" (1961), di Camillo Mastrocinque. Oppure quello del "paziente che non ha pazienza" malcapitato sotto i ferri di un chirurgo folle e distratto (Totò) in "Totò diabolicus" (1962), di Steno.
Ma il vero amore di De Vico, rimarrà per sempre il teatro. Nei primi anni '60 venne scelto da Eduardo De Filippo per la parte di Nennillo in "Natale in casa Cupiello", partecipando poi a numerose altre commedie del Maestro, sia in teatro che in televisione.
Negli anni '80, invece, venne riscoperto insieme alla moglie da Antonio Calenda, che lo diresse in "Cinecittà" (1985) e" Aspettando Godot" di Samuel Beckett (1990).
Colpito da un ictus sette anni prima, Pietro De Vico scomparve il 10 dicembre 1999, all'ospedale Fatebenefratelli di Roma - due giorni dopo la morte di un'altra grande interprete del teatro partenopeo, Pupella Maggio, di cui più volte fu partner sulla scena.
Forse - come ho scritto due giorni fa ricordando Pupella Maggio - sul serio vent'anni fa c'era qualcosa nell'aria: quel sentore che un'epoca straordinaria, piena di magia, era ormai terminata.
O, probabilmente, non c'è nulla di vero in tutto questo. Comunque sia De Vico ha rappresentato la bellezza di un secolo che ci ha saputo regalare momenti di intrattenimento puro, che fossero al cinema, in teatro o alla televisione. Per fortuna, l'arte e gli artisti sono immortali, e non basta un passaggio da un millennio all'altro per cancellare più di cinquant'anni di storia dello spettacolo, di cui Pietro De Vico, indimenticabile "macchietta", resta uno dei più straordinari protagonisti.
Il suo nome è legato indissolubilmente all'età d'oro del teatro napoletano, tra avanspettacolo e varietà, ma anche ai film di Totò, di cui fu abile "spalla" in scene esilaranti ed indimenticabili del nostro cinema. Pietro De Vico aveva le "physique du rôle" per fare il comico: piccolo di statura, dallo sguardo stralunato e il volto buffo, ha per decenni calcato i palcoscenici della sua Napoli - dove nacque il 21 febbraio 1911 - dedicandosi, parallelamente, anche al cinema e alla televisione.
Figlio d'arte, aveva ancora pochi mesi quando esordì sul palcoscenico per sostituire un bambolotto nella commedia di Scarpetta " 'Na creatura sperduta". Cominciò a lavorare nella compagnia paterna per poi costituirne una propria insieme ai due fratelli, Antonio e Mario, denominata il "Trio De Vico".
Da sinistra, Anna Campori, Pietro De Vico e Giulio Marchetti in "Giovanna, la nonna del Corsaro Nero". |
Negli anni '30 conobbe l'attrice romana Anna Campori, sua compagna in scena e nella vita fino alla fine dei suoi giorni. Proprio con lei, Pietro De Vico divenne un idolo dei bambini (e non solo)
quando negli anni '60 apparve sul grande schermo nella trasmissione per ragazzi "Giovanna, la nonna del Corsaro Nero", di cui sua moglie era la protagonista. Il suo ruolo era quello del nostromo Nicolino affetto da balbuzie. E proprio questo suo esilarante modo di "cacagliare", unito all'espressività del viso e all'aria stupita, fece di De Vico un validissimo caratterista del cinema, portando sulla scena le caricature di barbieri, gelatai, commercianti, impiegati e ruspanti contadini in decine di pellicole. La sua popolarità sul grande schermo è però legata soprattutto ai film girati con Totò. Indimenticabile, a mio avviso, il ruolo dello zotico a cui i trasformisti Totò e Camillo (Totò e Nino Taranto) trovano un improbabile impiego come "contatore di piccioni" nelle piazze italiane in "Totòtruffa '62" (1961), di Camillo Mastrocinque. Oppure quello del "paziente che non ha pazienza" malcapitato sotto i ferri di un chirurgo folle e distratto (Totò) in "Totò diabolicus" (1962), di Steno.
In alto, Pietro De Vico con Nino Taranto (a sinistra) e Totò (a destra) in "Totòtruffa '62". In basso, con Totò (al centro) e Franco Giacobini (a destra) in "Totò diabolicus". |
Ma il vero amore di De Vico, rimarrà per sempre il teatro. Nei primi anni '60 venne scelto da Eduardo De Filippo per la parte di Nennillo in "Natale in casa Cupiello", partecipando poi a numerose altre commedie del Maestro, sia in teatro che in televisione.
Pietro De Vico e la moglie Anna Campori in uno degli ultimi spettacoli. |
Negli anni '80, invece, venne riscoperto insieme alla moglie da Antonio Calenda, che lo diresse in "Cinecittà" (1985) e" Aspettando Godot" di Samuel Beckett (1990).
Colpito da un ictus sette anni prima, Pietro De Vico scomparve il 10 dicembre 1999, all'ospedale Fatebenefratelli di Roma - due giorni dopo la morte di un'altra grande interprete del teatro partenopeo, Pupella Maggio, di cui più volte fu partner sulla scena.
Forse - come ho scritto due giorni fa ricordando Pupella Maggio - sul serio vent'anni fa c'era qualcosa nell'aria: quel sentore che un'epoca straordinaria, piena di magia, era ormai terminata.
O, probabilmente, non c'è nulla di vero in tutto questo. Comunque sia De Vico ha rappresentato la bellezza di un secolo che ci ha saputo regalare momenti di intrattenimento puro, che fossero al cinema, in teatro o alla televisione. Per fortuna, l'arte e gli artisti sono immortali, e non basta un passaggio da un millennio all'altro per cancellare più di cinquant'anni di storia dello spettacolo, di cui Pietro De Vico, indimenticabile "macchietta", resta uno dei più straordinari protagonisti.
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