LEA, DONNE, LIBERTA'
Nulla è semplice, ma neanche impossibile: Lea lo sa. È consapevole di quanto sia difficile, doloroso, complicato. Ma sa anche che è l'unica speranza per sua figlia Denise, per darle un futuro degno di essere vissuto, dignitoso ed onesto. Lea Garofalo è la figlia del boss della 'Ndrangheta di Petilia Policastro, un piccolo paese in provincia di Crotone. Suo fratello gestisce il traffico di droga a Milano per conto della sua famiglia.
Anche Lea vive lì, insieme al suo compagno, Carlo Cosco, anche lui 'ndranghetista, braccio destro di suo fratello. Lea però capisce che non può andare avanti così. Deve farlo per sua figlia Denise, avuta a soli 17 anni. Non vuole che lei cresca in una famiglia del genere. Così "Maria coraggio" - come la definiscono i Litfiba nella canzone a lei dedicata - "rompe la gabbia" perché "ci crede e ci prova".
Svela i loschi traffici della sua famiglia, denuncia il fratello e il marito, mandandoli in galera. Entra in un programma di protezione, trova un nuovo lavoro, una nuova identità per sé e sua figlia, e una nuova casa.
Nel 2009, però, esce dal programma di protezione e nel frattempo anche il marito viene scarcerato.
Il 24 novembre del 2009, esattamente dieci anni fa, Lea si trova a Milano con sua figlia. Ha deciso di stabilirsi lì, ritiene che sia il luogo più adatto e sicuro: ma non è così. Quel giorno, suo marito la cerca, le chiede di incontrarsi per parlare del futuro della loro figlia. La invita in una casa dove, insieme ad altri complici, la tortura e la uccide, per poi bruciarne il corpo.
A Denise il padre dice che sua madre è andata via, che l'ha abbandonata. Lei non ci crede, sa che non lo avrebbe mai fatto. E così anche lei trova lo stesso coraggio che aveva avuto Lea e denuncia il padre. Carlo Cosco e i suoi complici vengono così condannati all'ergastolo con sentenza definitiva nel 2014. Per Denise - oggi ormai una donna - è il momento di iniziare una vita nuova, libera e onesta, proprio come avrebbe voluto sua madre.
Domani, 25 novembre, è la Giornata nazionale contro la violenza sulle donne. Lea, è vero, è una vittima di mafia, una martire della giustizia, ma è in primo luogo una donna che ha saputo lottare fino in fondo, ribellandosi pur di poter vivere la propria vita come voleva. Purtroppo non è riuscita a salvare se stessa, ma ha fatto sì che fosse possibile per Denise, che a sua volta ha saputo portare avanti la battaglia della madre - permettendo di ritrovarne il corpo e dargli una degna sepoltura.
Ricordare oggi Lea Garofalo non significa soltanto ricordare una vittima della mafia o un simbolo della legalità. Significa soprattutto ricordare una donna forte che ha avuto il coraggio di osare per rispetto di sé e della propria dignità.
Che il suo esempio - sebbene "particolare" - possa essere di conforto per tante altre donne che non hanno paura di ribellarsi, subendo qualsiasi atto di violenza - che sia fisico, morale o psicologico.
Siano in grado di fidarsi delle proprie capacità e di se stesse per poter "rompere la gabbia" di ipocrisia, di false credenze e di stupidità che per anni hanno fatto credere loro di essere "inferiori".
Possano così trovare il coraggio di osare anche loro, inseguendo ciò a cui ogni essere umano - uomo o donna che sia - ha diritto: la libertà.
Nulla è semplice, ma neanche impossibile: Lea lo sa. È consapevole di quanto sia difficile, doloroso, complicato. Ma sa anche che è l'unica speranza per sua figlia Denise, per darle un futuro degno di essere vissuto, dignitoso ed onesto. Lea Garofalo è la figlia del boss della 'Ndrangheta di Petilia Policastro, un piccolo paese in provincia di Crotone. Suo fratello gestisce il traffico di droga a Milano per conto della sua famiglia.
Anche Lea vive lì, insieme al suo compagno, Carlo Cosco, anche lui 'ndranghetista, braccio destro di suo fratello. Lea però capisce che non può andare avanti così. Deve farlo per sua figlia Denise, avuta a soli 17 anni. Non vuole che lei cresca in una famiglia del genere. Così "Maria coraggio" - come la definiscono i Litfiba nella canzone a lei dedicata - "rompe la gabbia" perché "ci crede e ci prova".
Svela i loschi traffici della sua famiglia, denuncia il fratello e il marito, mandandoli in galera. Entra in un programma di protezione, trova un nuovo lavoro, una nuova identità per sé e sua figlia, e una nuova casa.
Nel 2009, però, esce dal programma di protezione e nel frattempo anche il marito viene scarcerato.
Il 24 novembre del 2009, esattamente dieci anni fa, Lea si trova a Milano con sua figlia. Ha deciso di stabilirsi lì, ritiene che sia il luogo più adatto e sicuro: ma non è così. Quel giorno, suo marito la cerca, le chiede di incontrarsi per parlare del futuro della loro figlia. La invita in una casa dove, insieme ad altri complici, la tortura e la uccide, per poi bruciarne il corpo.
A Denise il padre dice che sua madre è andata via, che l'ha abbandonata. Lei non ci crede, sa che non lo avrebbe mai fatto. E così anche lei trova lo stesso coraggio che aveva avuto Lea e denuncia il padre. Carlo Cosco e i suoi complici vengono così condannati all'ergastolo con sentenza definitiva nel 2014. Per Denise - oggi ormai una donna - è il momento di iniziare una vita nuova, libera e onesta, proprio come avrebbe voluto sua madre.
Domani, 25 novembre, è la Giornata nazionale contro la violenza sulle donne. Lea, è vero, è una vittima di mafia, una martire della giustizia, ma è in primo luogo una donna che ha saputo lottare fino in fondo, ribellandosi pur di poter vivere la propria vita come voleva. Purtroppo non è riuscita a salvare se stessa, ma ha fatto sì che fosse possibile per Denise, che a sua volta ha saputo portare avanti la battaglia della madre - permettendo di ritrovarne il corpo e dargli una degna sepoltura.
Ricordare oggi Lea Garofalo non significa soltanto ricordare una vittima della mafia o un simbolo della legalità. Significa soprattutto ricordare una donna forte che ha avuto il coraggio di osare per rispetto di sé e della propria dignità.
Che il suo esempio - sebbene "particolare" - possa essere di conforto per tante altre donne che non hanno paura di ribellarsi, subendo qualsiasi atto di violenza - che sia fisico, morale o psicologico.
Siano in grado di fidarsi delle proprie capacità e di se stesse per poter "rompere la gabbia" di ipocrisia, di false credenze e di stupidità che per anni hanno fatto credere loro di essere "inferiori".
Possano così trovare il coraggio di osare anche loro, inseguendo ciò a cui ogni essere umano - uomo o donna che sia - ha diritto: la libertà.
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