9 NOVEMBRE 1989: QUEL "WIND OF CHANGE" CHE SA DI LIBERTA'
Nessuno ci sperava più, dopo quasi trent'anni fatti di dolore e rassegnazione. Tutti si erano ormai assuefatti a quel "Gigante" in cemento armato che aveva spaccato in due sogni, speranze e desideri.
Quel 9 novembre del 1989, però, accadde l'impossibile: il Muro di Berlino, simbolo di un mondo diviso in due, cadeva giù, quasi all'improvviso. Esattamente come era stato tirato su, nella notte tra il
12 e il 13 agosto del 1961, quando la DDR (la Repubblica Democratica Tedesca) aveva deciso di "marcare" i confini tra la Germania Est, sotto controllo sovietico, e la Germania Ovest, sotto controllo
americano, dividendo in due la città di Berlino.
Alle ore 18 del 9 novembre del 1989, Günter Schabowski - membro del politburo, l'ufficio politico della SED - comunicò che il Governo aveva stabilito che i berlinesi dell'Est avrebbero potuto valicare i confini. Riccardo Ehrman, corrispondente dell'ANSA dalla Germania presente alla conferenza, chiese a Schabowski quali fossero i tempi d'attesa per l'entrata in vigore delle nuove regole, e lui rispose, dopo un momento di titubanza, "da subito".
Nel giro di poco tempo centinaia di persone - poi divenute migliaia - che avevano guardato la Tv quella sera si accalcarono ai Checkpoint, sotto il Muro da anni presidiato dalla polizia della DDR che aveva l'ordine di sparare su chiunque avesse provato a valicare il confine: una barriera alta 3,6 metri e lunga oltre 150 Km, che aveva per circa tre decenni diviso nonni e nipoti, madri e figli, mariti e mogli, amici e conoscenti.
La polizia di frontiera non aveva ricevuto alcun ordine, ma poco dopo si trovò costretta a lasciar passare quella gente. In breve tempo giovani e meno giovani cominciarono ad arrampicarsi su quella barriera in cemento che per anni aveva significato morte per tutti coloro che avevano osato superarla. Alcuni ragazzi prendevano a picconate il Muro sfogando tutta una rabbia covata dentro per anni. Una rabbia mista a gioia ed euforia per quanto stava accadendo.
Tutti si abbracciavano, si baciavano, piangevano. Erano ancora increduli, sembrava un sogno.
Lunghe carovane di auto durante quella notte cominciarono a raggiungere l'Ovest, senza paura, senza pericoli, liberi. Le mitiche Trabant, le "auto del popolo" della Germania Est, in fila come tante formichine, erano l'unica cosa che rimaneva della Repubblica Democratica Tedesca che di lì a poco non sarebbe più esistita, lasciando posto ad una nazione finalmente unita.
Nessuno ci sperava più, nessuno ci avrebbe mai creduto, eppure quel "Wind of change" - come qualche anno dopo canteranno gli "Scorpions" -, quel vento di cambiamento che tutti si aspettavano
era arrivato, spazzando via in poche ore dolori, sofferenze e umiliazioni, insieme alla Guerra Fredda, al comunismo e al mondo diviso in due blocchi. Un soffio di vento forte e deciso, ma anche caldo e accogliente, che ancora oggi, dopo trent'anni da quell'indimenticabile notte, continua a sussurrare il suo grido di libertà.
Nessuno ci sperava più, dopo quasi trent'anni fatti di dolore e rassegnazione. Tutti si erano ormai assuefatti a quel "Gigante" in cemento armato che aveva spaccato in due sogni, speranze e desideri.
Quel 9 novembre del 1989, però, accadde l'impossibile: il Muro di Berlino, simbolo di un mondo diviso in due, cadeva giù, quasi all'improvviso. Esattamente come era stato tirato su, nella notte tra il
12 e il 13 agosto del 1961, quando la DDR (la Repubblica Democratica Tedesca) aveva deciso di "marcare" i confini tra la Germania Est, sotto controllo sovietico, e la Germania Ovest, sotto controllo
americano, dividendo in due la città di Berlino.
Alle ore 18 del 9 novembre del 1989, Günter Schabowski - membro del politburo, l'ufficio politico della SED - comunicò che il Governo aveva stabilito che i berlinesi dell'Est avrebbero potuto valicare i confini. Riccardo Ehrman, corrispondente dell'ANSA dalla Germania presente alla conferenza, chiese a Schabowski quali fossero i tempi d'attesa per l'entrata in vigore delle nuove regole, e lui rispose, dopo un momento di titubanza, "da subito".
Nel giro di poco tempo centinaia di persone - poi divenute migliaia - che avevano guardato la Tv quella sera si accalcarono ai Checkpoint, sotto il Muro da anni presidiato dalla polizia della DDR che aveva l'ordine di sparare su chiunque avesse provato a valicare il confine: una barriera alta 3,6 metri e lunga oltre 150 Km, che aveva per circa tre decenni diviso nonni e nipoti, madri e figli, mariti e mogli, amici e conoscenti.
La polizia di frontiera non aveva ricevuto alcun ordine, ma poco dopo si trovò costretta a lasciar passare quella gente. In breve tempo giovani e meno giovani cominciarono ad arrampicarsi su quella barriera in cemento che per anni aveva significato morte per tutti coloro che avevano osato superarla. Alcuni ragazzi prendevano a picconate il Muro sfogando tutta una rabbia covata dentro per anni. Una rabbia mista a gioia ed euforia per quanto stava accadendo.
Tutti si abbracciavano, si baciavano, piangevano. Erano ancora increduli, sembrava un sogno.
Lunghe carovane di auto durante quella notte cominciarono a raggiungere l'Ovest, senza paura, senza pericoli, liberi. Le mitiche Trabant, le "auto del popolo" della Germania Est, in fila come tante formichine, erano l'unica cosa che rimaneva della Repubblica Democratica Tedesca che di lì a poco non sarebbe più esistita, lasciando posto ad una nazione finalmente unita.
Nessuno ci sperava più, nessuno ci avrebbe mai creduto, eppure quel "Wind of change" - come qualche anno dopo canteranno gli "Scorpions" -, quel vento di cambiamento che tutti si aspettavano
era arrivato, spazzando via in poche ore dolori, sofferenze e umiliazioni, insieme alla Guerra Fredda, al comunismo e al mondo diviso in due blocchi. Un soffio di vento forte e deciso, ma anche caldo e accogliente, che ancora oggi, dopo trent'anni da quell'indimenticabile notte, continua a sussurrare il suo grido di libertà.
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