GIORGIO SCERBANENCO: IL LATO OSCURO DEL "BOOM"
La "metà oscura" delle cose ha sempre affascinato tutti. Quel lato nascosto - presente in ogni cosa, persona, città, nazione - che può anche far paura ma si vuol conoscere ad ogni costo, anche solo per pentirsene un attimo dopo. Non è facile però parlare di ciò che è "sbagliato", ciò che si vuol nascondere, ciò che si conosce ma si fa finta di non vedere. Ed in una società come quella dell'Italia del Dopoguerra, il Paese laborioso - quello del Miracolo Economico e della gioia di vivere - non era certo facile farlo.
Non per lui, però, Giorgio Scerbanenco, scrittore che proprio grazie a quel lato nascosto delle cose è riuscito ad inaugurare una nuova stagione del noir italiano, trovando il successo proprio
poco prima della sua scomparsa, avvenuta il 27 ottobre del 1969 a causa di un arresto cardiaco.
Scerbanenco sottolineò sempre la propria italianità. La madre infatti era italiana e lui - nato a Kiev, in Ucraina, il 28 luglio del 1911 - si trasferì in Italia quando aveva pochi mesi, inizialmente a Roma
e poi a Milano. Perduti entrambi i genitori, fu costretto ad abbandonare gli studi per il lavoro, svolgendo diversi mestieri. La scrittura era però la sua passione, e negli anni '30 cominciò a lavorare
come redattore prima alla Rizzoli e poi alla Mondadori, collaborando anche con diversi quotidiani e periodici.
Sebbene abbia spaziato tra diversi generi - dal western alla fantascienza passando per il romanzo rosa - Scerbanenco trovò il successo come giallista.
Il suo primo romanzo giallo fu "Sei giorni di preavviso" (1940), in cui nacque il personaggio di Arthur Jelling, protagonista di altri cinque romanzi pubblicati successivamente.
La popolarità di Scerbanenco però è legata a Duca Lamberti, medico milanese radiato dall'Ordine per aver praticato l'eutanasia su una malata terminale e diventato un investigatore privato, protagonista di ben quattro romanzi ambientati nella Milano degli anni '60.
Proprio in questi romanzi, Scerbanenco metteva in evidenza la "metà oscura". I romanzi sono ambientati a Milano (città alla quale resterà per sempre legato) ma la città di cui parla
Scerbanenco non è quella del benessere, "borghese", industrializzata, proiettata verso il futuro. La sua Milano è quella che si nasconde dietro la nebbia che avvolge le periferie, dove non c'è ricchezza ma
delinquenza, rabbia, voglia di riscatto a tutti i costi.
La bravura dello scrittore fu tale che i suoi soggetti diedero vita a pellicole di gran successo, come "La morte risale a ieri sera" (1970) di Duccio Tessari (tratto dal romanzo "I milanesi ammazzano al sabato") oppure "Milano calibro 9" (1972) di Fernando Leo, usciti proprio pochi anni dopo la sua scomparsa.
E forse il merito di Giorgio Scerbanenco, nel panorama letterario nazionale, è stato proprio questo: l'averci svelato quel lato oscuro del nostro bel Paese, lontano dalle "luci" del "Boom economico" in maniera senza dubbio fantasiosa ma anche profondamente realistica.
La "metà oscura" delle cose ha sempre affascinato tutti. Quel lato nascosto - presente in ogni cosa, persona, città, nazione - che può anche far paura ma si vuol conoscere ad ogni costo, anche solo per pentirsene un attimo dopo. Non è facile però parlare di ciò che è "sbagliato", ciò che si vuol nascondere, ciò che si conosce ma si fa finta di non vedere. Ed in una società come quella dell'Italia del Dopoguerra, il Paese laborioso - quello del Miracolo Economico e della gioia di vivere - non era certo facile farlo.
Non per lui, però, Giorgio Scerbanenco, scrittore che proprio grazie a quel lato nascosto delle cose è riuscito ad inaugurare una nuova stagione del noir italiano, trovando il successo proprio
poco prima della sua scomparsa, avvenuta il 27 ottobre del 1969 a causa di un arresto cardiaco.
Scerbanenco sottolineò sempre la propria italianità. La madre infatti era italiana e lui - nato a Kiev, in Ucraina, il 28 luglio del 1911 - si trasferì in Italia quando aveva pochi mesi, inizialmente a Roma
e poi a Milano. Perduti entrambi i genitori, fu costretto ad abbandonare gli studi per il lavoro, svolgendo diversi mestieri. La scrittura era però la sua passione, e negli anni '30 cominciò a lavorare
come redattore prima alla Rizzoli e poi alla Mondadori, collaborando anche con diversi quotidiani e periodici.
Sebbene abbia spaziato tra diversi generi - dal western alla fantascienza passando per il romanzo rosa - Scerbanenco trovò il successo come giallista.
Il suo primo romanzo giallo fu "Sei giorni di preavviso" (1940), in cui nacque il personaggio di Arthur Jelling, protagonista di altri cinque romanzi pubblicati successivamente.
La popolarità di Scerbanenco però è legata a Duca Lamberti, medico milanese radiato dall'Ordine per aver praticato l'eutanasia su una malata terminale e diventato un investigatore privato, protagonista di ben quattro romanzi ambientati nella Milano degli anni '60.
Proprio in questi romanzi, Scerbanenco metteva in evidenza la "metà oscura". I romanzi sono ambientati a Milano (città alla quale resterà per sempre legato) ma la città di cui parla
Scerbanenco non è quella del benessere, "borghese", industrializzata, proiettata verso il futuro. La sua Milano è quella che si nasconde dietro la nebbia che avvolge le periferie, dove non c'è ricchezza ma
delinquenza, rabbia, voglia di riscatto a tutti i costi.
La bravura dello scrittore fu tale che i suoi soggetti diedero vita a pellicole di gran successo, come "La morte risale a ieri sera" (1970) di Duccio Tessari (tratto dal romanzo "I milanesi ammazzano al sabato") oppure "Milano calibro 9" (1972) di Fernando Leo, usciti proprio pochi anni dopo la sua scomparsa.
E forse il merito di Giorgio Scerbanenco, nel panorama letterario nazionale, è stato proprio questo: l'averci svelato quel lato oscuro del nostro bel Paese, lontano dalle "luci" del "Boom economico" in maniera senza dubbio fantasiosa ma anche profondamente realistica.
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