Passa ai contenuti principali
VIRGILIO RIENTO, ULTIMO "MACCHIETTISTA"


Non era giovanissimo (sessantanove anni, per l'epoca, erano tanti), ma quando ci lasciò - il 7 settembre del 1959 - Virgilio Riento aveva appena raggiunto l'apice del successo.




Gli ultimi dieci anni lo avevano visto prendere parte alle pellicole più note del cinema italiano del tempo. Il coronamento di una lunga carriera iniziata dietro le quinte del teatro. Sì, proprio dietro le quinte, perché Virgilio D'Armiento - poi divenuto Riento - era figlio di un impresario teatrale e cominciò ad appassionarsi alla recitazione spiando gli attori, da dietro le quinte appunto.
Esordì a Roma - dove nacque il 29 novembre del 1889 - ad appena nove anni, con una imitazione di Nicola Maldacea. Cominciò facendosi le ossa nei café-chantant, per poi passare al varietà e al teatro di rivista. Ben presto, divenne celebre per le sue esibizioni. Si trattava di "macchiette", ovvero personaggi buffi e grotteschi resi divertenti non solo grazie all'utilizzo della mimica (facciale e corporea) ma soprattutto grazie ad uno pseudodialetto abruzzese, completamente inventato da lui.
Nella sua carriera Riento divise la scena con i più grandi interpreti teatrali, tra cui la grandissima Anna Fougez, per la quale tentò il suicidio (sparandosi un colpo al cuore che, fortunatamente, venne deviato da una costola) dopo essere stato rifiutato.


 Da sinistra: Virgilio Riento, Anna Magnani, Giuseppe Porelli e Vittorio De Sica in "Abbasso la ricchezza!".

            

A partire dagli anni '30, pur non abbandonando il palcoscenico, Riento  approdò sul grande schermo.
La sua prima pellicola fu "Sette giorni all'altro mondo" di Mario Mattioli, del 1949, ma degni di nota sono anche "Il signor Max" (1939) di Mario Camerini, con Vittorio De Sica, oppure "Avanti c'è posto..." (1942) di Mario Bonnard, accanto ad Aldo Fabrizi.
Dopo la fine della guerra - segnata dalla perdita della moglie, morta sotto i bombardamenti - Virgilio Riento divenne un volto noto al cinema. Nel 1945 e nel 1946 recitò da coprotagonista insieme ad Anna Magnani in due straordinari film di Gennaro Righelli: "Abbasso la miseria!" e "Abbasso la ricchezza!".

A sinistra, Virgilio Riento con Renato Salvatori e Marisa Allasio in "Poveri ma belli"; a destra, con Gina Lollobrigida in "Pane, amore e gelosia".


Con il suo volto rotondo, i capelli tirati indietro dalla brillantina, il naso rotondo e quegli occhi sporgenti, Virgilio Riento interpretò ruoli quasi sempre di secondo piano, ma ottenne grande visibilità, prendendo parte alle più fortunate commedie italiane degli anni '50.
In "Pane, amore e fantasia" (1953) e "Pane, amore e gelosia" (1955) - entrambi di Luigi Comencini -, ad esempio, interpretò il ruolo di don Emidio, il parroco di Sagliena (in realtà Castel San Pietro Romano), l'immaginaria cittadina abruzzese in cui si svolgono le vicende del maresciallo Carotenuto (Vittorio De Sica) e della bella "Bersagliera" (Gina Lollobrigida).
Ma fu anche il padre della bella e formosa Giovanna (Marisa Allasio), contesa tra Romolo (Maurizio Arena) e Salvatore (Renato Salvatori) nel celebre "Poveri ma belli" di Dino Risi, del 1956.
Nel 1959, invece, girò il suo ultimo film: "Il mondo dei miracoli" di Luigi Capuano. Una sorta di ritorno alle origini: il film infatti è ambientato nel mondo del teatro e lui interpreta il ruolo di "Oscaretto", suggeritore da palcoscenico. Forse un inconscio presagio della fine.
Pochi mesi dopo, Virgilio Riento disse addio alle scene, accanto alla sua ex compagna di palcoscenico, la sopracitata Fougez. Quel mattino del 7 settembre di sessant'anni fa, infatti, venne colto da infarto proprio nella villa dell'attrice, a Santa Marinella, sul litorale romano.

Dopotutto, il suo "mondo" era ormai finito da tempo. L'epoca d'oro del varietà - quella dei teatri gremiti di gente, delle ballerine che ballano il "can-can" e delle soubrette tutte piume - era ormai al tramonto. E con Virgilio Riento, fine caratterista e grande interprete teatrale, scompariva definitivamente anche l'ultimo "macchiettista" dello spettacolo italiano.



Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l'altro, per la salita di Sant'Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla ve...
C'ERA UNA VOLTA, IL TEATRO DELLE VITTORIE! Nell’estate televisiva in cui le menti offuscate dall’afa si ridestano, a sera, ai ricordi di  Techetecheté , ci capiterà di rivederlo. Nelle sue splendide scenografie, dal bianco e nero al colore, nei conduttori in abito da sera, da Lelio Luttazzi a Fabrizio Frizzi, negli acuti di Mina, nella diplomazia di Pippo Baudo, nelle mille luci di una facciata, quella di uno dei teatri più celebri della Rai, che era essa stessa un inno al divertimento del sabato sera. Da qualche tempo, quell’ingresso, per anni abbandonato al degrado estetico, è stato restaurato ma “in povertà”, lontano dai fasti di una storia cominciata ottant'anni fa, nel 1944, quando il Teatro delle Vittorie, sito in via Col di Lana, a Roma, veniva inaugurato nientepopodimeno che da una rivista di Totò e Anna Magnani.   Il "luminoso" ingresso del Teatro delle Vittorie.   Il delle Vittorie era un grande teatro specializzato negli spettacoli di varietà e rivista. Bal...
GIUSEPPE GUIDA, PASSIONE MAESTRA Un maestro, nel senso più “elementare” del termine. Perché prima che professore, preside, sindaco democristiano, storico e scrittore, Giuseppe Guida è stato, a mio avviso, un maestro. E non solo perché si diplomò allo storico Istituto Magistrale di Lagonegro. Giuseppe Guida possedeva infatti le qualità che - sempre a mio parere - dovrebbero essere proprie di un vero insegnante elementare (e non solo): empatia, sguardo lungo, curiosità, intelligenza. E di intelligenza “Peppino” Guida diede dimostrazione fin da bambino.  Nato il 17 settembre 1914, da proprietari terrieri del Farno, zona rurale alle porte di Lagonegro (Pz), Peppino era terzo di sette figli e i genitori, per permettergli di studiare, lo affidarono agli zii materni, commercianti, che si occuparono della sua istruzione. I loro sacrifici non furono vani e infatti Peppino Guida diede prova di grandi capacità intellettive e non solo. Accanto alla passione per gli studi umanistici, che lo con...