BORIS GIULIANO: IL CORAGGIO DELLA VERITA'
Si può passare la propria vita a fare qualunque cosa ma, quando si ha una vocazione, prima o poi, ci si trova "costretti" a seguirla. Questo accadde a Giorgio Boris Giuliano, commissario della Squadra Mobile di Palermo, che veniva assassinato esattamente quarant'anni fa, il 21 luglio del 1979.
Boris Giuliano era siciliano (di Piazza Armerina, in provincia di Enna) ma, dopo la laurea in giurisprudenza, aveva trovato impiego presso una società manifatturiera, la Plastica italiana, e si era trasferito a Milano con la moglie.
Boris, però, aveva una passione: fare il poliziotto. Così, dopo essere entrato in polizia ed aver superato il concorso per commissario, chiese di essere assegnato alla Questura di Palermo, dove arrivò nel 1963.
Venne assegnato ad un ufficio amministrativo, ma non era certo quello il suo posto. In breve tempo, passò alla sezione omicidi, per poi giungere alla Squadra Mobile, di cui fu prima vice-dirigente e poi dirigente.
Giuliano sembrava uno di quei detective dei film americani: con quei baffoni a manubrio, le lunghe basette e la sigaretta all'angolo della bocca. Aveva il talento, il fiuto e la determinazione di quegli investigatori disposti a qualunque sacrificio pur di arrivare alla verità. E di verità, Giuliano, ne aveva scoperte molte.
In quegli anni, Palermo era assediata dalla prima guerra di Mafia, che opponeva i palermitani facenti capo a Stefano Bontate ai Corleonesi di Totò Riina, che ben presto prenderanno potere.
Giuliano è bravo, come i suoi uomini. La sua squadra, in pochi anni, riuscì a scoprire rapporti e anelli di collegamento tra Cosa Nostra, Politica (Vito Ciancimino, Salvo Lima, i cugini Salvo) e Finanza (Michele Sindona).
Indagarono, inoltre, sulla scomparsa del giornalista de "L'Ora" di Palermo, Mauro De Mauro che - secondo le indagini del commissario - aveva scoperto la complicità della Mafia nella misteriosa morte del presidente dell'Eni, Enrico Mattei - avvenuta in un incidente aereo nel 1962.
Gran merito del commissario Giuliano, però, fu la scoperta di un importante traffico di droga tra Palermo e gli Stati Uniti. L'inchiesta venne condotta in collaborazione con l'FBI e passerà alla storia come "Pizza connection".
Giuliano era bravo, non si fermava davanti a niente. Con i suoi uomini stava sferrando un duro colpo alla Mafia. Da poco aveva scoperto il covo dove si nascondeva il boss Leoluca Bagarella, braccio destro e cognato di Totò Riina. Andava fermato.
E fu proprio Bagarella a farlo, quel mattino del 21 luglio 1979, freddandolo con sette colpi calibro 7,65 nel bar Lux, dove il commissario stava prendendo un caffé, prima di recarsi a lavoro.
Le indagini di Giuliano, però, non finirono quel caldo mattino di luglio. Le sue intuizioni, tramutatesi in prove e documenti, saranno fondamentali per le inchieste del "pool antimafia" coordinato dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e che porteranno al Maxiprocesso del 1986.
E Boris Giuliano continua a vivere ancora oggi, nel ricordo di chi lo ha conosciuto. Un uomo onesto - marito e padre amorevole, prima ancora che fedele servitore dello Stato - che non ha mai smesso di credere nella giustizia. Nel rispetto di quella verità che, con coraggio, ha perseguito fino all'ultimo.
Si può passare la propria vita a fare qualunque cosa ma, quando si ha una vocazione, prima o poi, ci si trova "costretti" a seguirla. Questo accadde a Giorgio Boris Giuliano, commissario della Squadra Mobile di Palermo, che veniva assassinato esattamente quarant'anni fa, il 21 luglio del 1979.
Boris Giuliano era siciliano (di Piazza Armerina, in provincia di Enna) ma, dopo la laurea in giurisprudenza, aveva trovato impiego presso una società manifatturiera, la Plastica italiana, e si era trasferito a Milano con la moglie.
Boris, però, aveva una passione: fare il poliziotto. Così, dopo essere entrato in polizia ed aver superato il concorso per commissario, chiese di essere assegnato alla Questura di Palermo, dove arrivò nel 1963.
Venne assegnato ad un ufficio amministrativo, ma non era certo quello il suo posto. In breve tempo, passò alla sezione omicidi, per poi giungere alla Squadra Mobile, di cui fu prima vice-dirigente e poi dirigente.
Giuliano sembrava uno di quei detective dei film americani: con quei baffoni a manubrio, le lunghe basette e la sigaretta all'angolo della bocca. Aveva il talento, il fiuto e la determinazione di quegli investigatori disposti a qualunque sacrificio pur di arrivare alla verità. E di verità, Giuliano, ne aveva scoperte molte.
In quegli anni, Palermo era assediata dalla prima guerra di Mafia, che opponeva i palermitani facenti capo a Stefano Bontate ai Corleonesi di Totò Riina, che ben presto prenderanno potere.
Giuliano è bravo, come i suoi uomini. La sua squadra, in pochi anni, riuscì a scoprire rapporti e anelli di collegamento tra Cosa Nostra, Politica (Vito Ciancimino, Salvo Lima, i cugini Salvo) e Finanza (Michele Sindona).
Indagarono, inoltre, sulla scomparsa del giornalista de "L'Ora" di Palermo, Mauro De Mauro che - secondo le indagini del commissario - aveva scoperto la complicità della Mafia nella misteriosa morte del presidente dell'Eni, Enrico Mattei - avvenuta in un incidente aereo nel 1962.
Gran merito del commissario Giuliano, però, fu la scoperta di un importante traffico di droga tra Palermo e gli Stati Uniti. L'inchiesta venne condotta in collaborazione con l'FBI e passerà alla storia come "Pizza connection".
Giuliano era bravo, non si fermava davanti a niente. Con i suoi uomini stava sferrando un duro colpo alla Mafia. Da poco aveva scoperto il covo dove si nascondeva il boss Leoluca Bagarella, braccio destro e cognato di Totò Riina. Andava fermato.
E fu proprio Bagarella a farlo, quel mattino del 21 luglio 1979, freddandolo con sette colpi calibro 7,65 nel bar Lux, dove il commissario stava prendendo un caffé, prima di recarsi a lavoro.
Le indagini di Giuliano, però, non finirono quel caldo mattino di luglio. Le sue intuizioni, tramutatesi in prove e documenti, saranno fondamentali per le inchieste del "pool antimafia" coordinato dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e che porteranno al Maxiprocesso del 1986.
E Boris Giuliano continua a vivere ancora oggi, nel ricordo di chi lo ha conosciuto. Un uomo onesto - marito e padre amorevole, prima ancora che fedele servitore dello Stato - che non ha mai smesso di credere nella giustizia. Nel rispetto di quella verità che, con coraggio, ha perseguito fino all'ultimo.
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