MASSIMO D'ANTONA: UN UOMO PERBENE CHE CREDEVA NEL DOMANI
Roma, 20 maggio 1999. Massimo D'Antona - docente universitario e consulente del Ministro del Lavoro Antonio Bassolino - veniva freddato con cinque colpi di pistola da Mario Galesi e
Nadia Desdemona Lioce, esponenti delle "Nuove Brigate Rosse". Erano circa le otto e venti del mattino quando D'Antona, appena uscito di casa, stava percorrendo via Salaria a piedi, per
recarsi nel suo studio, non molto distante dalla sua abitazione.
Superato l'incrocio con via Adda, l'agguato da parte dei brigatisti, sbucati all'improvviso da un furgone parcheggiato lungo il marciapiede. D'Antona venne portato di corsa in ambulanza al Policlinico
Umberto I, ma non ci fu nulla da fare.
Il professor D'Antona era un tecnico, un "cervello" prestato alla macchina statale per cercare di migliorarne il funzionamento. Quell'uomo schivo, competente, deciso, aveva in mente grandi prospettive per il futuro del nostro Paese. In merito, soprattutto, alla questione lavoro: dignità e diritti alla base di tutto. Massimo D'Antona credeva nel cambiamento, nella possibilità di migliorarsi e migliorare. Proprio ciò che non volevano le "Nuove Brigate Rosse" che anzi ritenevano come una possibilità quella di distruggere lo Stato, ricominciando da dove i loro "predecessori" si erano interrotti, nella seconda metà degli anni '80.
Vent'anni fa, però, l'Italia non era più quella degli "anni di piombo": era finita la "Prima Repubblica", ci si avvicinava al nuovo millennio sulla scia di internet e della telefonia mobile.
E fu proprio grazie alle nuove tecnologie a rivelare i piani dei brigatisti.
Gli esecutori materiali del delitto D'Antona - Galesi e la Lioce - furono arrestati sul treno Roma - Firenze, nei pressi di Castiglion Fiorentino, dagli agenti della Polizia Ferroviaria, in un normale giro di controllo. I brigatisti tentarono di reagire e ci fu un conflitto a fuoco, in cui morirono il sovrintendente Emanuele Petri e il brigatista Galesi.
Nadia Desdemona Lioce venne trovata in possesso di un computer palmare. Proprio grazie a quest'ultimo gli inquirenti diedero una svolta alle indagini. In quel computer, infatti, vennero trovate le prove che legavano la Lioce e Galesi non solo al delitto D'Antona ma anche a quello del professor Marco Biagi (avvenuto a Bologna il 19 marzo 2002) e molto altro materiale relativo a probabili obiettivi futuri.
Con la sentenza di Cassazione, nel 2007, Nadia Desdemona Lioce venne definitivamente condannata all'ergastolo, e molti altri esponenti delle Nuove BR finirono in galera con l'accusa di associazione terroristica e rapina. Si concludeva così l'ennesima triste pagina di storia del nostro Paese.
Di tutto ciò, quel che resta, quel che conta è il ricordo che Massimo D'Antona ci rammenta nell'anniversario della sua morte: credere nel domani, nelle possibilità, proprio come quell'uomo perbene, dai baffi folti e il sorriso sincero.
Roma, 20 maggio 1999. Massimo D'Antona - docente universitario e consulente del Ministro del Lavoro Antonio Bassolino - veniva freddato con cinque colpi di pistola da Mario Galesi e
Nadia Desdemona Lioce, esponenti delle "Nuove Brigate Rosse". Erano circa le otto e venti del mattino quando D'Antona, appena uscito di casa, stava percorrendo via Salaria a piedi, per
recarsi nel suo studio, non molto distante dalla sua abitazione.
Superato l'incrocio con via Adda, l'agguato da parte dei brigatisti, sbucati all'improvviso da un furgone parcheggiato lungo il marciapiede. D'Antona venne portato di corsa in ambulanza al Policlinico
Umberto I, ma non ci fu nulla da fare.
Il professor D'Antona era un tecnico, un "cervello" prestato alla macchina statale per cercare di migliorarne il funzionamento. Quell'uomo schivo, competente, deciso, aveva in mente grandi prospettive per il futuro del nostro Paese. In merito, soprattutto, alla questione lavoro: dignità e diritti alla base di tutto. Massimo D'Antona credeva nel cambiamento, nella possibilità di migliorarsi e migliorare. Proprio ciò che non volevano le "Nuove Brigate Rosse" che anzi ritenevano come una possibilità quella di distruggere lo Stato, ricominciando da dove i loro "predecessori" si erano interrotti, nella seconda metà degli anni '80.
Vent'anni fa, però, l'Italia non era più quella degli "anni di piombo": era finita la "Prima Repubblica", ci si avvicinava al nuovo millennio sulla scia di internet e della telefonia mobile.
E fu proprio grazie alle nuove tecnologie a rivelare i piani dei brigatisti.
Gli esecutori materiali del delitto D'Antona - Galesi e la Lioce - furono arrestati sul treno Roma - Firenze, nei pressi di Castiglion Fiorentino, dagli agenti della Polizia Ferroviaria, in un normale giro di controllo. I brigatisti tentarono di reagire e ci fu un conflitto a fuoco, in cui morirono il sovrintendente Emanuele Petri e il brigatista Galesi.
Nadia Desdemona Lioce venne trovata in possesso di un computer palmare. Proprio grazie a quest'ultimo gli inquirenti diedero una svolta alle indagini. In quel computer, infatti, vennero trovate le prove che legavano la Lioce e Galesi non solo al delitto D'Antona ma anche a quello del professor Marco Biagi (avvenuto a Bologna il 19 marzo 2002) e molto altro materiale relativo a probabili obiettivi futuri.
Con la sentenza di Cassazione, nel 2007, Nadia Desdemona Lioce venne definitivamente condannata all'ergastolo, e molti altri esponenti delle Nuove BR finirono in galera con l'accusa di associazione terroristica e rapina. Si concludeva così l'ennesima triste pagina di storia del nostro Paese.
Di tutto ciò, quel che resta, quel che conta è il ricordo che Massimo D'Antona ci rammenta nell'anniversario della sua morte: credere nel domani, nelle possibilità, proprio come quell'uomo perbene, dai baffi folti e il sorriso sincero.
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