IL "GRANDE TORINO": UN SOGNO DISSOLTOSI NEI CIELI DI SUPERGA
4 maggio 1949. Erano da poco passate le diciassette quando Torino, assopita in una spessa nebbia, fu scossa da un boato improvviso.
Sulla collina di Superga - che domina la città offrendo un panorama mozzafiato - un velivolo si schiantò brutalmente contro il terrapieno alle spalle della Basilica.
A bordo di quell'aereo c'era l'orgoglio dello sport, torinese ed italiano: il "Grande Torino", la squadra che da tempo dominava le classifiche calcistiche con le sue vittorie.
Il "Grande Torino".
Era il "Toro" di Valentino Mazzola - l'indimenticabile capitano -, dei fratelli Ballarin, di Mario Rigamonti e di Valerio Bacigalupo. Insieme a loro altri formidabili ragazzi: giovani, pieni di vita, che divennero il simbolo dell'Italia della Ricostruzione, proiettata verso un futuro roseo e vincente, dopo gli anni bui della guerra.
Proprio come Torino e l'Italia tutta, che si stava ricostruendo pezzo per pezzo, mattone dopo mattone, anche il "Toro" si era costruito le proprie vittorie, gol dopo gol, portando a casa cinque scudetti.
Quel 4 maggio di settant'anni fa, la squadra - accompagnata da dirigenti e giornalisti - stava rientrando da Lisbona, dopo aver disputato un'amichevole.
Quella mattina l'aereo aveva fatto prima scalo a Barcellona, per poi mettersi in rotta per Torino.
La giornata, però, non era proprio ideale per un viaggio aereo. Il tempo non era dei migliori. La torre di controllo - con cui il pilota era in costante contatto - parlava di raffiche di vento, pioggia
e di una pesante coltre di nebbia che rendeva difficoltose le operazioni d'atterraggio.
Dopo le diciassette - quando ormai l'aereo doveva essere in dirittura d'arrivo all'aeroporto di Torino - la torre di controllo perse i contatti col velivolo. Provò anche a ricontattare via radio l'equipaggio, ma non ebbe risposta. Poco dopo, si seppe della tragedia. A causa della scarsa visibilità, il velivolo, all'improvviso, si era trovato davanti la Basilica di Superga, senza alcuna possibilità di evitarla. Irrimediabilmente l'aereo andò a scontrarsi con un' ala sulla parete posteriore della Basilica, per poi colpire il suolo ed incendiarsi. A bordo, tra calciatori, dirigenti, giornalisti ed equipaggio c'erano trentuno persone. Nessuno riuscì a salvarsi.
I funerali - trasmessi in diretta radio dalla Rai - si svolsero due giorni dopo. Circa un milione di persone era venuto a rendere omaggio a quei giovani sfortunati.
Nelle restanti quattro partite di campionato, il "Toro" fece scendere i campo i giovani della primavera e altrettanto fecero le squadre avversarie. Fu così che il "Grande Torino", grazie ai suoi giovani allievi, portò in casa il sesto ed ultimo scudetto.
L'ultimo meritato premio per una squadra di veri uomini, ancor prima che campioni.
Perché - a mio avviso - non bisogna essere appassionati di calcio per riconoscere il merito
del "Grande Torino". Il capitano Mazzola e gli altri, infatti, non furono semplici calciatori, ma giovani pieni di speranza e di fiducia nel futuro, forti, coraggiosi e determinati.
E sebbene il loro sogno, quel triste pomeriggio di settant'anni fa, si dissolse nei cieli sopra Superga, il loro esempio, invece, è ancora qui, vivo. Per continuare a ricordarci che tutto è possibile, se ci credi davvero.
4 maggio 1949. Erano da poco passate le diciassette quando Torino, assopita in una spessa nebbia, fu scossa da un boato improvviso.
Sulla collina di Superga - che domina la città offrendo un panorama mozzafiato - un velivolo si schiantò brutalmente contro il terrapieno alle spalle della Basilica.
A bordo di quell'aereo c'era l'orgoglio dello sport, torinese ed italiano: il "Grande Torino", la squadra che da tempo dominava le classifiche calcistiche con le sue vittorie.
Il "Grande Torino".
Era il "Toro" di Valentino Mazzola - l'indimenticabile capitano -, dei fratelli Ballarin, di Mario Rigamonti e di Valerio Bacigalupo. Insieme a loro altri formidabili ragazzi: giovani, pieni di vita, che divennero il simbolo dell'Italia della Ricostruzione, proiettata verso un futuro roseo e vincente, dopo gli anni bui della guerra.
Proprio come Torino e l'Italia tutta, che si stava ricostruendo pezzo per pezzo, mattone dopo mattone, anche il "Toro" si era costruito le proprie vittorie, gol dopo gol, portando a casa cinque scudetti.
Quel 4 maggio di settant'anni fa, la squadra - accompagnata da dirigenti e giornalisti - stava rientrando da Lisbona, dopo aver disputato un'amichevole.
Quella mattina l'aereo aveva fatto prima scalo a Barcellona, per poi mettersi in rotta per Torino.
La giornata, però, non era proprio ideale per un viaggio aereo. Il tempo non era dei migliori. La torre di controllo - con cui il pilota era in costante contatto - parlava di raffiche di vento, pioggia
e di una pesante coltre di nebbia che rendeva difficoltose le operazioni d'atterraggio.
Dopo le diciassette - quando ormai l'aereo doveva essere in dirittura d'arrivo all'aeroporto di Torino - la torre di controllo perse i contatti col velivolo. Provò anche a ricontattare via radio l'equipaggio, ma non ebbe risposta. Poco dopo, si seppe della tragedia. A causa della scarsa visibilità, il velivolo, all'improvviso, si era trovato davanti la Basilica di Superga, senza alcuna possibilità di evitarla. Irrimediabilmente l'aereo andò a scontrarsi con un' ala sulla parete posteriore della Basilica, per poi colpire il suolo ed incendiarsi. A bordo, tra calciatori, dirigenti, giornalisti ed equipaggio c'erano trentuno persone. Nessuno riuscì a salvarsi.
I funerali - trasmessi in diretta radio dalla Rai - si svolsero due giorni dopo. Circa un milione di persone era venuto a rendere omaggio a quei giovani sfortunati.
Nelle restanti quattro partite di campionato, il "Toro" fece scendere i campo i giovani della primavera e altrettanto fecero le squadre avversarie. Fu così che il "Grande Torino", grazie ai suoi giovani allievi, portò in casa il sesto ed ultimo scudetto.
L'ultimo meritato premio per una squadra di veri uomini, ancor prima che campioni.
Perché - a mio avviso - non bisogna essere appassionati di calcio per riconoscere il merito
del "Grande Torino". Il capitano Mazzola e gli altri, infatti, non furono semplici calciatori, ma giovani pieni di speranza e di fiducia nel futuro, forti, coraggiosi e determinati.
E sebbene il loro sogno, quel triste pomeriggio di settant'anni fa, si dissolse nei cieli sopra Superga, il loro esempio, invece, è ancora qui, vivo. Per continuare a ricordarci che tutto è possibile, se ci credi davvero.
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