ACHILLE COMPAGNONI: PUNTARE "IN ALTO" E NON ARRENDERSI MAI
Esattamente dieci anni fa, il 13 maggio del 2009, ci lasciava uno dei protagonisti di una grande impresa italiana del Dopoguerra: Achille Compagnoni, membro della spedizione italiana che il 31 luglio del 1954 tentò la scalata della seconda vetta più alta del mondo, il K2.
Compagnoni, insieme a Lino Lacedelli, fu proprio colui che materialmente raggiunse la vetta. E non mancò mai di sottolinearlo, soprattutto nei confronti del compagno di spedizione Walter Bonatti, in una polemica risoltasi soltanto qualche anno fa.
Achille Compagnoni (a sinistra) con Lino Lacedelli.
Probabilmente fu anche per questo che quando se ne andò - nell'ospedale di Aosta, dove era stato ricoverato - non furono in molti a piangerlo. Compagnoni nacque a Santa Caterina Valfurna, in Valtellina, il 26 settembre del 1914. Nel 1934 si trasferì a Cervinia, dopo aver assolto gli obblighi di leva ad Aosta.
Alto, possente, dotato di una grande resistenza fisica, cominciò a praticare alpinismo, risalendo più volte il Cervino ed il Monte Rosa, e praticando con gran successo anche lo sci alpinismo.
Nel 1953, fu il primo dei dodici alpinisti ad essere scelti dal professore e geologo Ardito Desio - capo spedizione - per partecipare a quella storica scalata che, nel'Italia vinta e distrutta dalla guerra, divenne simbolo di tenacia e riscatto dopo anni terribili.
Compagnoni e Lacedelli furono i primi scalatori al mondo ad aver raggiunto la cima del K2, da allora in poi ribattezzata come "la montagna degli italiani".
Il problema è che, sia lui che Lacedelli - appoggiati da Desio -, si presero tutti i meriti, negando il contributo di quella che era considerata la mascotte della spedizione - vista la giovane età - e che diventerà un grande alpinista: Walter Bonatti.
Quest'ultimo, infatti - insieme all'alpinista pakistano Amir Mahdi -, era incaricato di portare le bombole d'ossigeno necessarie ai due alpinisti. Se non che, Compagnoni e Lacedelli spostarono di propria volontà la loro tenda rispetto alla posizione concordata con Bonatti, così da costringerlo a passare la notte completamente allo scoperto, senza alcuna protezione. Così, il mattino dopo, recuperate le bombole lasciate da Bonatti, Lacedelli e Compagnoni raggiunsero la vetta da soli, portando a termine l'impresa che varrà loro una medaglia d'oro al valor civile.
Probabilmente Compagnoni aveva paura di dover "dividere" la vittoria con Bonatti, o peggio di vederlo arrivare prima di loro.
La polemica si concluse - dopo un processo - solo nel 2008, quando il Club Alpino Italiano - promotore della spedizione - riconobbe la versione di Bonatti, già confermata da Lacedelli - che inizialmente aveva fornito la stessa versione di Compagnoni - in un libro pubblicato qualche anno prima.
Compagnoni - che dopo l'impresa rientrò nella sua Cervinia per dedicarsi ad un agriturismo e alla sua passione per lo sci - negò fino all'ultimo di aver mentito. Anzi, non dichiarò mai nulla di diverso dai rapporti ufficiali del 1954.
Achille Compagnoni, però, resta comunque il simbolo di un'Italia che lotta, che fatica e non si arrende mai. Un Paese che sa di potercela fare semplicemente perché è in grado di crederci.
Forse, la lezione di Compagnoni e della spedizione sul K2 è valida ancora oggi e per tutti noi:
puntare "in alto" e non arrendersi mai!
Esattamente dieci anni fa, il 13 maggio del 2009, ci lasciava uno dei protagonisti di una grande impresa italiana del Dopoguerra: Achille Compagnoni, membro della spedizione italiana che il 31 luglio del 1954 tentò la scalata della seconda vetta più alta del mondo, il K2.
Compagnoni, insieme a Lino Lacedelli, fu proprio colui che materialmente raggiunse la vetta. E non mancò mai di sottolinearlo, soprattutto nei confronti del compagno di spedizione Walter Bonatti, in una polemica risoltasi soltanto qualche anno fa.
Achille Compagnoni (a sinistra) con Lino Lacedelli.
Probabilmente fu anche per questo che quando se ne andò - nell'ospedale di Aosta, dove era stato ricoverato - non furono in molti a piangerlo. Compagnoni nacque a Santa Caterina Valfurna, in Valtellina, il 26 settembre del 1914. Nel 1934 si trasferì a Cervinia, dopo aver assolto gli obblighi di leva ad Aosta.
Alto, possente, dotato di una grande resistenza fisica, cominciò a praticare alpinismo, risalendo più volte il Cervino ed il Monte Rosa, e praticando con gran successo anche lo sci alpinismo.
Nel 1953, fu il primo dei dodici alpinisti ad essere scelti dal professore e geologo Ardito Desio - capo spedizione - per partecipare a quella storica scalata che, nel'Italia vinta e distrutta dalla guerra, divenne simbolo di tenacia e riscatto dopo anni terribili.
Compagnoni e Lacedelli furono i primi scalatori al mondo ad aver raggiunto la cima del K2, da allora in poi ribattezzata come "la montagna degli italiani".
Il problema è che, sia lui che Lacedelli - appoggiati da Desio -, si presero tutti i meriti, negando il contributo di quella che era considerata la mascotte della spedizione - vista la giovane età - e che diventerà un grande alpinista: Walter Bonatti.
Quest'ultimo, infatti - insieme all'alpinista pakistano Amir Mahdi -, era incaricato di portare le bombole d'ossigeno necessarie ai due alpinisti. Se non che, Compagnoni e Lacedelli spostarono di propria volontà la loro tenda rispetto alla posizione concordata con Bonatti, così da costringerlo a passare la notte completamente allo scoperto, senza alcuna protezione. Così, il mattino dopo, recuperate le bombole lasciate da Bonatti, Lacedelli e Compagnoni raggiunsero la vetta da soli, portando a termine l'impresa che varrà loro una medaglia d'oro al valor civile.
Probabilmente Compagnoni aveva paura di dover "dividere" la vittoria con Bonatti, o peggio di vederlo arrivare prima di loro.
La polemica si concluse - dopo un processo - solo nel 2008, quando il Club Alpino Italiano - promotore della spedizione - riconobbe la versione di Bonatti, già confermata da Lacedelli - che inizialmente aveva fornito la stessa versione di Compagnoni - in un libro pubblicato qualche anno prima.
Compagnoni - che dopo l'impresa rientrò nella sua Cervinia per dedicarsi ad un agriturismo e alla sua passione per lo sci - negò fino all'ultimo di aver mentito. Anzi, non dichiarò mai nulla di diverso dai rapporti ufficiali del 1954.
Achille Compagnoni, però, resta comunque il simbolo di un'Italia che lotta, che fatica e non si arrende mai. Un Paese che sa di potercela fare semplicemente perché è in grado di crederci.
Forse, la lezione di Compagnoni e della spedizione sul K2 è valida ancora oggi e per tutti noi:
puntare "in alto" e non arrendersi mai!
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