GLI ULTIMI FUOCHI DI UN'INFINITA GUERRA
La natura, si sa, non sfida mai l'uomo. È piuttosto quest'ultimo, nella maggioranza dei casi, che tenta di piegarla ai propri scopi. Proprio come una settantina di anni fa, quando l'umanità le chiese di fagocitare le prove della sua follia.
Allora le "foibe" - caratteristiche voragini rocciose scavate dalle acque - erano semplici "caratterizzazioni" del paesaggio carsico, ai confini tra l'Italia e la Penisola Balcanica. Fin quando, divennero simbolo di dolore e morte.
In quegli inghiottitoi, infatti , migliaia di uomini e donne vennero gettati, vivi, morti o semplicemente tramortiti, per il solo fatto di essere italiani in terra straniera. Allora, negli anni '40, l'Istria, la Dalmazia e gran parte della Venezia Giulia erano italiane. Ma la Juogoslavia, guidata dal maresciallo Tito, mise in moto una dura spedizione armata, con lo scopo di recuperare territori di cui rivendicava proprietà. L'8 settembre e l'armistizio di Cassibile, nel 1943, sembravano aver posto fine alla guerra. Ma non era così, come ben sappiamo. I fascisti fuggivano, i nazisti avanzavano e i partigiani cercavano di difenderci, mentre il Regio Esercito, abbandonato a se stesso, ormai allo sbaraglio, si univa alle fila partigiane.
Ma lì, nel Nord-Est del nostro Paese, nei territori prossimi all'Urss, il comunismo aveva ormai preso piede. Gli eserciti "titini" avanzavano, seminando sangue e terrore, per riannettere al loro paese ciò che gli era stato sottratto.
Per far questo, però, massacrarono quelli che loro ritenevano dei nemici. I fascisti o presunti tali che avevano, per anni, dettato legge nelle loro terre. Ma non fu così. A pagarla con la propria vita, furono in realtà padri di famiglia, madri con i propri bambini, anziani. Persone che non avevano alcuna colpa. Se non quella di essere nostri connazionali.
Vennero cacciati dalle proprie dimore, picchiati, umiliati e poi uccisi. Alcuni gettati nelle foibe. Corpi esanimi, molti dei quali senza identità, ammassati l'uno sull'altro in queste tombe a cielo aperto. Altri invece, furono deportati in campi di concentramento in Jugoslavia.
Alcuni riuscirono a salvarsi, abbandonando la propria casa, e mettendosi in marcia, in un "esodo" che proseguì fino al 1947, quando con "i trattati di Parigi", l'Italia restituì alla Jugoslavia l'Istria, la Dalmazia e gran parte dei territori giuliani: era il 10 febbraio.
Per molti di loro, però, la vita è finita lì. Molti superstiti, infatti, hanno lasciato il proprio "cuore" in quei "pozzi" diventati fosse comuni, come ricorda un bellissimo film per la tv interpretato da Beppe Fiorello.
Ed è proprio il battito di quei cuori, per anni inascoltati, a risvegliarsi ogni 10 febbraio da quando, per legge, nel 2004, il nostro Paese ha istituito in questa data la "Giornata del ricordo". Non possiamo e non dobbiamo dimenticarci di loro: uomini e donne come noi che hanno avuto la sola colpa di vivere su un confine, dove i Grandi del Mondo avevano deciso di disputare la propria folle partita, a scapito di innocenti vite umane.
È nostro dovere non dimenticare quei palpiti che ancora oggi implorano pietà. Solo così, forse, non potremo mai più sottovalutare questa drammatica pagina di storia. Quegli "ultimi fuochi di un'infinita guerra" - come scrisse il poeta triestino Sergio Fumich - che ancora oggi, molti di noi, ignorano.
La natura, si sa, non sfida mai l'uomo. È piuttosto quest'ultimo, nella maggioranza dei casi, che tenta di piegarla ai propri scopi. Proprio come una settantina di anni fa, quando l'umanità le chiese di fagocitare le prove della sua follia.
Allora le "foibe" - caratteristiche voragini rocciose scavate dalle acque - erano semplici "caratterizzazioni" del paesaggio carsico, ai confini tra l'Italia e la Penisola Balcanica. Fin quando, divennero simbolo di dolore e morte.
In quegli inghiottitoi, infatti , migliaia di uomini e donne vennero gettati, vivi, morti o semplicemente tramortiti, per il solo fatto di essere italiani in terra straniera. Allora, negli anni '40, l'Istria, la Dalmazia e gran parte della Venezia Giulia erano italiane. Ma la Juogoslavia, guidata dal maresciallo Tito, mise in moto una dura spedizione armata, con lo scopo di recuperare territori di cui rivendicava proprietà. L'8 settembre e l'armistizio di Cassibile, nel 1943, sembravano aver posto fine alla guerra. Ma non era così, come ben sappiamo. I fascisti fuggivano, i nazisti avanzavano e i partigiani cercavano di difenderci, mentre il Regio Esercito, abbandonato a se stesso, ormai allo sbaraglio, si univa alle fila partigiane.
Ma lì, nel Nord-Est del nostro Paese, nei territori prossimi all'Urss, il comunismo aveva ormai preso piede. Gli eserciti "titini" avanzavano, seminando sangue e terrore, per riannettere al loro paese ciò che gli era stato sottratto.
Per far questo, però, massacrarono quelli che loro ritenevano dei nemici. I fascisti o presunti tali che avevano, per anni, dettato legge nelle loro terre. Ma non fu così. A pagarla con la propria vita, furono in realtà padri di famiglia, madri con i propri bambini, anziani. Persone che non avevano alcuna colpa. Se non quella di essere nostri connazionali.
Vennero cacciati dalle proprie dimore, picchiati, umiliati e poi uccisi. Alcuni gettati nelle foibe. Corpi esanimi, molti dei quali senza identità, ammassati l'uno sull'altro in queste tombe a cielo aperto. Altri invece, furono deportati in campi di concentramento in Jugoslavia.
Alcuni riuscirono a salvarsi, abbandonando la propria casa, e mettendosi in marcia, in un "esodo" che proseguì fino al 1947, quando con "i trattati di Parigi", l'Italia restituì alla Jugoslavia l'Istria, la Dalmazia e gran parte dei territori giuliani: era il 10 febbraio.
Per molti di loro, però, la vita è finita lì. Molti superstiti, infatti, hanno lasciato il proprio "cuore" in quei "pozzi" diventati fosse comuni, come ricorda un bellissimo film per la tv interpretato da Beppe Fiorello.
Ed è proprio il battito di quei cuori, per anni inascoltati, a risvegliarsi ogni 10 febbraio da quando, per legge, nel 2004, il nostro Paese ha istituito in questa data la "Giornata del ricordo". Non possiamo e non dobbiamo dimenticarci di loro: uomini e donne come noi che hanno avuto la sola colpa di vivere su un confine, dove i Grandi del Mondo avevano deciso di disputare la propria folle partita, a scapito di innocenti vite umane.
È nostro dovere non dimenticare quei palpiti che ancora oggi implorano pietà. Solo così, forse, non potremo mai più sottovalutare questa drammatica pagina di storia. Quegli "ultimi fuochi di un'infinita guerra" - come scrisse il poeta triestino Sergio Fumich - che ancora oggi, molti di noi, ignorano.
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