LA MEMORIA È L'UNICO VACCINO CONTRO L' INDIFFERENZA
"La memoria dovrebbe essere spontanea". Diceva così Indro Montanelli, dimostrandosi leggermente contrario all'elogio delle ricorrenze. Senza dubbio, non basta una data simbolo per poter permettere al mondo di conoscere e - soprattutto - non dimenticare drammi come quello che si ricorda oggi, 27 gennaio. La fine dell'Olocausto - lo sterminio degli ebrei operato dai nazifascisti - è una di quelle commemorazioni obbligate. Un giorno in cui nessuno può non fermarsi a riflettere su quanto accaduto in passato.
La data - stabilita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel 2005 - ricorda la liberazione del campo di prigionia di Auschwitz, in Polonia, avvenuta ad opera delle truppe dell'Armata Rossa, nel 1945.
Da ben quattordici anni tutto il mondo, in questa data, ricorda con documentari, film, cerimonie istituzionali, progetti nelle scuole e mostre, le vittime di quell' atroce carneficina compiuta da chi, per pura follia, riteneva di essere "superiore".
Quel giorno, simbolicamente, segna la fine di un incubo. Uomini e donne, giovani e vecchi, adulti e bambini. Operai, maestri, commercianti, letterati e professionisti, persone oneste, costrette a nascondersi perché considerate, da un giorno all'altro, diverse, impure, contrarie alle "norme" genetiche decantate dal Terzo Reich. Prima vennero messe al bando dagli uffici pubblici, dalle scuole, dalle loro attività professionali. Poi, dopo esser state private di ogni bene, vennero deportate. Ammassate come bestie, su carri merci trainati da locomotive a vapore: nere, sporche, come i volti di quella povera gente mandata al macello. Il capolinea del treno, per molti di loro, coincise con quello della propria esistenza. Infatti, i cancelli dei lager si spalancavano davanti ai loro occhi increduli e spaventati, per poi richiudersi alle loro spalle e non riaprisi più.
Quel 27 gennaio del 1945, venne fuori una verità orribile, terrificante, di cui anche l'Italia, a partire dalle leggi razziali del 1938, è stata responsabile.
Ma quella stessa verità, scomoda, inaccettabile, ci è stata anche raccontata da chi l'ha vissuta sulla propria pelle ed è riuscito, miracolosamente, a sopravvivere. Come Primo Levi, che ha raccontato la sua esperienza di prigionia in "Se questo è un uomo", oppure la piccola Anna Frank, che non riuscì a farcela, nonostante la tenacia, l'incredibile coraggio e la fiducia verso il genere umano che traspare da ogni riga del suo "Diario".
Si tratta di eventi che sembrano tanto assurdi quanto lontani, ma questa non è una giustificazione buona per credere che la semplice distanza temporale basti a renderci immuni da futuri episodi di follia umana. "Ciò che è accaduto, accadrà", sosteneva Seneca.
Oggi siamo talmente abituati all'orrore, alle tragedie che quotidianamente accadono nel mondo, che rischiamo di non farci più neanche caso.
A mio avviso, ben venga una "festività" da calendario pur di riaccendere un pensiero nelle nostre teste. Riflettere su ciò che è accaduto in passato, cercare di capire il perché, pur non trovando una risposta, permette di comprendere le sofferenze altrui e far in modo che, nessuno mai, sia più costretto a subire senza alcuna possibilità di aiuto. Come ha detto Liliana Segre, supersite del campo di concentramento di Auschwitz e senatrice a vita: "La memoria è l'unico vaccino contro l'indifferenza"
"La memoria dovrebbe essere spontanea". Diceva così Indro Montanelli, dimostrandosi leggermente contrario all'elogio delle ricorrenze. Senza dubbio, non basta una data simbolo per poter permettere al mondo di conoscere e - soprattutto - non dimenticare drammi come quello che si ricorda oggi, 27 gennaio. La fine dell'Olocausto - lo sterminio degli ebrei operato dai nazifascisti - è una di quelle commemorazioni obbligate. Un giorno in cui nessuno può non fermarsi a riflettere su quanto accaduto in passato.
La data - stabilita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel 2005 - ricorda la liberazione del campo di prigionia di Auschwitz, in Polonia, avvenuta ad opera delle truppe dell'Armata Rossa, nel 1945.
Da ben quattordici anni tutto il mondo, in questa data, ricorda con documentari, film, cerimonie istituzionali, progetti nelle scuole e mostre, le vittime di quell' atroce carneficina compiuta da chi, per pura follia, riteneva di essere "superiore".
Quel giorno, simbolicamente, segna la fine di un incubo. Uomini e donne, giovani e vecchi, adulti e bambini. Operai, maestri, commercianti, letterati e professionisti, persone oneste, costrette a nascondersi perché considerate, da un giorno all'altro, diverse, impure, contrarie alle "norme" genetiche decantate dal Terzo Reich. Prima vennero messe al bando dagli uffici pubblici, dalle scuole, dalle loro attività professionali. Poi, dopo esser state private di ogni bene, vennero deportate. Ammassate come bestie, su carri merci trainati da locomotive a vapore: nere, sporche, come i volti di quella povera gente mandata al macello. Il capolinea del treno, per molti di loro, coincise con quello della propria esistenza. Infatti, i cancelli dei lager si spalancavano davanti ai loro occhi increduli e spaventati, per poi richiudersi alle loro spalle e non riaprisi più.
Quel 27 gennaio del 1945, venne fuori una verità orribile, terrificante, di cui anche l'Italia, a partire dalle leggi razziali del 1938, è stata responsabile.
Ma quella stessa verità, scomoda, inaccettabile, ci è stata anche raccontata da chi l'ha vissuta sulla propria pelle ed è riuscito, miracolosamente, a sopravvivere. Come Primo Levi, che ha raccontato la sua esperienza di prigionia in "Se questo è un uomo", oppure la piccola Anna Frank, che non riuscì a farcela, nonostante la tenacia, l'incredibile coraggio e la fiducia verso il genere umano che traspare da ogni riga del suo "Diario".
Si tratta di eventi che sembrano tanto assurdi quanto lontani, ma questa non è una giustificazione buona per credere che la semplice distanza temporale basti a renderci immuni da futuri episodi di follia umana. "Ciò che è accaduto, accadrà", sosteneva Seneca.
Oggi siamo talmente abituati all'orrore, alle tragedie che quotidianamente accadono nel mondo, che rischiamo di non farci più neanche caso.
A mio avviso, ben venga una "festività" da calendario pur di riaccendere un pensiero nelle nostre teste. Riflettere su ciò che è accaduto in passato, cercare di capire il perché, pur non trovando una risposta, permette di comprendere le sofferenze altrui e far in modo che, nessuno mai, sia più costretto a subire senza alcuna possibilità di aiuto. Come ha detto Liliana Segre, supersite del campo di concentramento di Auschwitz e senatrice a vita: "La memoria è l'unico vaccino contro l'indifferenza"
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