GUIDO ROSSA: LA "VETTA" DELLA LIBERTA'
Genova, 24 gennaio 1979. Erano appena le 6 e 30 del mattino. Guido Rossa è un uomo di quarantaquattro anni. Come tutte le mattine stava per recarsi al lavoro, presso lo stabilimento dell'Italsider - colosso dell'industria siderurgica italiana -, dove lavorava come operaio. Guido lavorava lì da più di vent'anni. Era bravo nel suo lavoro e voleva garantire a tutti di poterlo fare nel modo giusto. Infatti, Guido era membro del consiglio di fabbrica Fiom-Cgil, era un sindacalista e militava nel Pci.
Erano anni difficili quelli. "Gli anni di piombo" li chiamavano, talmente erano tanti i proiettili che infestavano l'aria più degli scarichi delle fabbriche e delle automobili, quando appena si cominciava a parlare di smog ed inquinamento.
Rossa era un operaio e conosceva bene i problemi e le esigenze di quelli come lui. Un salario dignitoso, condizioni di lavoro umane, rispettose della persona. Però, a Guido non piaceva quello che succedeva intorno. Molte persone del cosiddetto "Movimento operaio", coloro che si ribellavano ai padroni in cerca di condizioni migliori, stavano avvicinandosi alla lotta armata. Le Brigate Rosse, gruppo armato che in quegli anni terrorizzava l'Italia a suon di "comunicati" e raffiche di mitra, cominciava a raccogliere consensi anche tra la sua gente: persone oneste che avevano voglia di lavorare, tanta, ma a patto di poterlo fare nella maniera giusta.
Questo Guido non poteva accettarlo. D'accordo fare richieste, far sentire la propria voce: ma quella umana, non quella metallica delle pallottole. Nulla può valere la vita di un uomo. E di morti ce n'erano stati. Come il giudice Francesco Coco, assassinato nel 1976 a Genova, o il presidente della Dc Aldo Moro, rapito ed assassinato dopo cinquantacinque giorni di prigionia che mantennero l'Italia col fiato sospeso. I più "fortunati", invece, erano stati "gambizzati", come si diceva allora, ovvero sparati alle gambe, come il celebre giornalista Indro Montanelli.
Ebbene, Guido Rossa non ci stava. Voleva che quegli assassini, che seminavano terrore e sangue con la scusa di salvaguardare le esigenze del proletariato, non si mischiassero con la buona gente che chiedeva soltanto rispetto e considerazione.
Scoprì che, nei pressi della macchinetta del caffè, in azienda venivano lasciati numerosi volantini di propaganda alla lotta armata e nei pressi della macchinetta si era spesso visto armeggiare un suo collega operaio, Francesco Berardi.
Decise così di segnalarlo al consiglio. Non si era sbagliato. Infatti Berardi faceva parte delle Brigate Rosse e subito dopo la denuncia e l'arresto si dichiarò "prigioniero politico".
Guido, però, venne lasciato solo. Quel mattino di quarant'anni fa era solo. Stava montando sulla sua automobile quando un commando saltato fuori da un furgone aprì il fuoco. Venne prima gambizzato e poi "finito" con un colpo al cuore.
Quel mattino, però, fu l'inizio della fine. Ci fu una mobilitazione generale, da parte dei partiti, dei sindacati e di tanta gente comune. Oltre duecentomila persone presero parte ai funerali di Guido Rossa. Anche il Presidente Pertini, che dichiarò di essere lì soprattutto come "compagno" e non come Capo di Stato.
Ma quel freddo mattino di quarant'anni fa, Guido Rossa vinse. L'ombra nera della lotta armata si dissolse nei cieli delle fabbriche. Colpire un operaio, un lavoratore, un padre, un uomo onesto determinò la fine di quell'assurdo movimento, che di lì a poco andò via via scemando. Da quel momento in poi l'aria nei cieli di Genova e dell'Italia intera ritornò fresca e respirabile. Proprio come l'aria di montagna che lui amava godersi durante le sue scalate. Guido Rossa, infatti, era anche un abile e bravo alpinista. E in quanto tale ha avuto il coraggio necessario per compiere il suo dovere fino in fondo: scalare una "montagna" di paura e confusione per conquistare la "vetta" della libertà.
Genova, 24 gennaio 1979. Erano appena le 6 e 30 del mattino. Guido Rossa è un uomo di quarantaquattro anni. Come tutte le mattine stava per recarsi al lavoro, presso lo stabilimento dell'Italsider - colosso dell'industria siderurgica italiana -, dove lavorava come operaio. Guido lavorava lì da più di vent'anni. Era bravo nel suo lavoro e voleva garantire a tutti di poterlo fare nel modo giusto. Infatti, Guido era membro del consiglio di fabbrica Fiom-Cgil, era un sindacalista e militava nel Pci.
Erano anni difficili quelli. "Gli anni di piombo" li chiamavano, talmente erano tanti i proiettili che infestavano l'aria più degli scarichi delle fabbriche e delle automobili, quando appena si cominciava a parlare di smog ed inquinamento.
Rossa era un operaio e conosceva bene i problemi e le esigenze di quelli come lui. Un salario dignitoso, condizioni di lavoro umane, rispettose della persona. Però, a Guido non piaceva quello che succedeva intorno. Molte persone del cosiddetto "Movimento operaio", coloro che si ribellavano ai padroni in cerca di condizioni migliori, stavano avvicinandosi alla lotta armata. Le Brigate Rosse, gruppo armato che in quegli anni terrorizzava l'Italia a suon di "comunicati" e raffiche di mitra, cominciava a raccogliere consensi anche tra la sua gente: persone oneste che avevano voglia di lavorare, tanta, ma a patto di poterlo fare nella maniera giusta.
Questo Guido non poteva accettarlo. D'accordo fare richieste, far sentire la propria voce: ma quella umana, non quella metallica delle pallottole. Nulla può valere la vita di un uomo. E di morti ce n'erano stati. Come il giudice Francesco Coco, assassinato nel 1976 a Genova, o il presidente della Dc Aldo Moro, rapito ed assassinato dopo cinquantacinque giorni di prigionia che mantennero l'Italia col fiato sospeso. I più "fortunati", invece, erano stati "gambizzati", come si diceva allora, ovvero sparati alle gambe, come il celebre giornalista Indro Montanelli.
Ebbene, Guido Rossa non ci stava. Voleva che quegli assassini, che seminavano terrore e sangue con la scusa di salvaguardare le esigenze del proletariato, non si mischiassero con la buona gente che chiedeva soltanto rispetto e considerazione.
Scoprì che, nei pressi della macchinetta del caffè, in azienda venivano lasciati numerosi volantini di propaganda alla lotta armata e nei pressi della macchinetta si era spesso visto armeggiare un suo collega operaio, Francesco Berardi.
Decise così di segnalarlo al consiglio. Non si era sbagliato. Infatti Berardi faceva parte delle Brigate Rosse e subito dopo la denuncia e l'arresto si dichiarò "prigioniero politico".
Guido, però, venne lasciato solo. Quel mattino di quarant'anni fa era solo. Stava montando sulla sua automobile quando un commando saltato fuori da un furgone aprì il fuoco. Venne prima gambizzato e poi "finito" con un colpo al cuore.
Quel mattino, però, fu l'inizio della fine. Ci fu una mobilitazione generale, da parte dei partiti, dei sindacati e di tanta gente comune. Oltre duecentomila persone presero parte ai funerali di Guido Rossa. Anche il Presidente Pertini, che dichiarò di essere lì soprattutto come "compagno" e non come Capo di Stato.
Ma quel freddo mattino di quarant'anni fa, Guido Rossa vinse. L'ombra nera della lotta armata si dissolse nei cieli delle fabbriche. Colpire un operaio, un lavoratore, un padre, un uomo onesto determinò la fine di quell'assurdo movimento, che di lì a poco andò via via scemando. Da quel momento in poi l'aria nei cieli di Genova e dell'Italia intera ritornò fresca e respirabile. Proprio come l'aria di montagna che lui amava godersi durante le sue scalate. Guido Rossa, infatti, era anche un abile e bravo alpinista. E in quanto tale ha avuto il coraggio necessario per compiere il suo dovere fino in fondo: scalare una "montagna" di paura e confusione per conquistare la "vetta" della libertà.
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