GIULIO ANDREOTTI: NASCITA, SVILUPPO, DECLINO E MORTE DELLA PRIMA REPUBBLICA
"Non c'è rosa senza spine, non c'è governo senza Andreotti" - diceva Totò nel film "Gli onorevoli", del 1963. Mai frase è stata più profetica. Sette volte Presidente del Consiglio, più di venti volte ministro, senatore a vita dal 1991, Giulio Andreotti è stato senza dubbio una delle figure più influenti del ventesimo secolo.
Nato a Roma il 14 gennaio del 1919, cominciò ad affacciarsi alla politica negli anni '30, durante gli studi giuridici all'università, nella Fuci, la federazione degli universitari cattolici.
Entrò tra le fila della Democrazia cristiana all'indomani della Guerra, grazie all' appoggio del fondatore e leader del partito cattolico, Alcide De Gasperi.
E proprio all'interno della cosiddetta "Balena bianca" - creando una propria "corrente" - riuscì ad affermare il proprio ruolo, divenendo una delle personalità più in vista della politica italiana e mantenendo il prestigio anche dopo lo scioglimento del partito nel 1994 - toccato dallo scandalo di Tangentopoli -, fino alla morte, avvenuta a 94 anni, nel 2013.
Piccolo di statura, occhialuto e gobbutto, è stato "vittima" di imitazioni da parte dei più grandi comici italiani, in cinquant'anni di presenza sulla scena politica. Ricordo con piacere l'imitazione che ne faceva Oreste Lionello, compianto attore del "Bagaglino" di Pingitore. Ma il primo ad imitarlo fu Alighiero Noschese, sulla Prima Rete nazionale.
Di tutto questo, però, il "Divo Giulio" non si è mai risentito. Contraddistinto da un umorismo innato, è stato lui stesso ad ironizzare sulla propria figura. Anche quando c'era ben poco da scherzare.
Accusato di aver avuto rapporti con esponenti mafiosi, venne processato e poi prosciolto, in Appello ed in Cassazione, dalla Corte di Palermo, nel 2003. "A parte le guerre puniche, mi è stato attribuito di tutto" - rispondeva il Senatore, quando si faceva riferimento a questo e a molti altri misfatti nei quali si presumeva fosse stato coinvolto - si pensi all'assassinio del giornalista Pecorelli o a quello del Generale Dalla Chiesa.
Comunque sia, Giulio Andreotti ha rappresentato, nel bene e nel male, la classe dirigente italiana e il nostro Paese in genere, dal punto di vista politico e sociale. E se prendiamo come riferimento la Ricostruzione ed il "Boom" all'indomani della guerra, lo stragismo e la crisi degli anni '70 e la lenta "morte" della politica all'indomani di Tangentopoli - che a tutt'oggi appare inarrestabile -, possiamo senza dubbio definirlo come l'artefice della nascita, dello sviluppo e della morte della Prima Repubblica italiana.
"Non c'è rosa senza spine, non c'è governo senza Andreotti" - diceva Totò nel film "Gli onorevoli", del 1963. Mai frase è stata più profetica. Sette volte Presidente del Consiglio, più di venti volte ministro, senatore a vita dal 1991, Giulio Andreotti è stato senza dubbio una delle figure più influenti del ventesimo secolo.
Nato a Roma il 14 gennaio del 1919, cominciò ad affacciarsi alla politica negli anni '30, durante gli studi giuridici all'università, nella Fuci, la federazione degli universitari cattolici.
Entrò tra le fila della Democrazia cristiana all'indomani della Guerra, grazie all' appoggio del fondatore e leader del partito cattolico, Alcide De Gasperi.
E proprio all'interno della cosiddetta "Balena bianca" - creando una propria "corrente" - riuscì ad affermare il proprio ruolo, divenendo una delle personalità più in vista della politica italiana e mantenendo il prestigio anche dopo lo scioglimento del partito nel 1994 - toccato dallo scandalo di Tangentopoli -, fino alla morte, avvenuta a 94 anni, nel 2013.
Piccolo di statura, occhialuto e gobbutto, è stato "vittima" di imitazioni da parte dei più grandi comici italiani, in cinquant'anni di presenza sulla scena politica. Ricordo con piacere l'imitazione che ne faceva Oreste Lionello, compianto attore del "Bagaglino" di Pingitore. Ma il primo ad imitarlo fu Alighiero Noschese, sulla Prima Rete nazionale.
Di tutto questo, però, il "Divo Giulio" non si è mai risentito. Contraddistinto da un umorismo innato, è stato lui stesso ad ironizzare sulla propria figura. Anche quando c'era ben poco da scherzare.
Accusato di aver avuto rapporti con esponenti mafiosi, venne processato e poi prosciolto, in Appello ed in Cassazione, dalla Corte di Palermo, nel 2003. "A parte le guerre puniche, mi è stato attribuito di tutto" - rispondeva il Senatore, quando si faceva riferimento a questo e a molti altri misfatti nei quali si presumeva fosse stato coinvolto - si pensi all'assassinio del giornalista Pecorelli o a quello del Generale Dalla Chiesa.
Comunque sia, Giulio Andreotti ha rappresentato, nel bene e nel male, la classe dirigente italiana e il nostro Paese in genere, dal punto di vista politico e sociale. E se prendiamo come riferimento la Ricostruzione ed il "Boom" all'indomani della guerra, lo stragismo e la crisi degli anni '70 e la lenta "morte" della politica all'indomani di Tangentopoli - che a tutt'oggi appare inarrestabile -, possiamo senza dubbio definirlo come l'artefice della nascita, dello sviluppo e della morte della Prima Repubblica italiana.
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