COME TUTTE LE PIU' BELLE COSE
"Ricordi, sbocciavan le viole...". Per chi ha amato profondamente Fabrizio De André e la sua originalità, "le viole" non sbocciano più da vent'anni. Come se la "primavera" della musica si fosse conclusa con la sua uscita di scena.
Era l'11 gennaio del 1999 quando Faber - soprannome storico datogli dal suo fraterno amico Paolo Villaggio - ci lasciava a causa di un cancro ai polmoni. Era appena iniziato l'ultimo anno del ventesimo secolo. Sicuramente avrebbe trovato l'ispirazione giusta per descrivere anche il mondo d'oggi, quel "nuovo millennio" su cui allora si fantasticava tanto.
La sua poesia in musica ha scavalcato decenni e generazioni ed è ancora oggi ascoltata da tutti.
Poco incline alle regole, irrequieto, ma di animo fortemente sensibile, Fabrizio era solito trascorrere le sue giornate tra i bordelli e le osterie della sua Genova, in compagnia dei suoi più cari amici. Primo fra tutti, il futuro attore Paolo Villaggio e poi Gino Paoli, Bruno Lauzi, Umberto Bindi e Luigi Tenco, i fautori di quella "Scuola genovese" di cui lui è considerato l'ultimo esponente.
Lasciò a metà i suoi studi universitari (Giurisprudenza) non appena capì che la musica era la sua strada. Il primo passo, nel 1961, con "Nuvole barocche", il suo primo 45 giri.
La notorietà nazionale arrivò nel 1967, grazie a Mina e alla sua interpretazione de "La canzone di Marinella" - brano ispirato ad un vero fatto di cronaca - che De André aveva pubblicato nel 1964.
Da allora in poi fu uno straordinario susseguirsi di successi: "La canzone dell'amore perduto", "Amore che vieni amore che vai", "Il pescatore", solo per citare i più noti.
Di idee anarchiche, fu fortemente ispirato dalle idee del cosiddetto "Maggio Francese" - il '68 Francese - e dalla musica di Georges Brassens. Gli anni '70 lo consacrarono al successo. Collaborò con diversi artisti - tra cui Francesco De Gregori - e si fece inoltre portatore di istanze contestatrici. Ciò gli provocò diverse accuse, mossegli soprattutto da chi credeva fossero "problemi" non suoi, essendo nato benestante e avendo potuto godere di mille privilegi.
Ma, come tutti i "poeti maledetti", De André ebbe una vita scombussolata anche dal punto di vista sentimentale. Ebbe molte relazioni in gioventù, forse spinto sempre da un' innata e continua ricerca. Senz'altro, dopo la fine del matrimonio con Enrica Rignon - detta "Puny" - che gli diede il figlio Cristiano -, l'amore più grande della sua vita fu la cantante Dori Ghezzi (all'epoca famosissima in coppia col cantante Wess), che lo sposerà nel 1989, dopo sedici anni di convivenza, restandogli accanto fino alla fine dei suoi giorni. Insieme condivisero successi professionali, personali - la seconda figlia Lucia Vittoria "LuVi" - ma anche momenti difficili, come il rapimento da parte della Anonima Sarda che nell'agosto del 1979 li prelevò dalla propria villa, nei pressi di Tempio Pausania, nascondendoli nei boschi alle pendici del Monte Lerno e liberandoli soltanto dopo il pagamento di un pesante riscatto e quattro mesi di prigionia.
E se De André abbia sempre preso spunto dalle proprie esperienze per scrivere le sue canzoni, non stupirà che anche questo triste episodio ispirò un suo famoso brano, "Hotel Supramonte".
Gli anni '90, invece, lo videro collaborare con diversi artisti, in qualità di autore o di interprete. Inoltre, pubblicò i sui due ultimi album: "Le nuvole" e "Anime salve", le sue ultime fatiche.
Sebbene, agli inizi, provasse vergogna a cantare in pubblico, a partire dagli anni '70 aveva cominciato ad esibirsi in concerto. E proprio davanti al suo pubblico terminò la propria carriera. Nell'estate del '98, infatti, durante il suo ultimo tour, accusò dei dolori al torace. A seguito di esami medici scoprì il tumore e fu per questo costretto ad interrompere i propri concerti. Poco più di quattro mesi dopo se ne andò via, portando con sé la sua fedele chitarra, con la quale continua ancora ad allietarci.
Perché la sua musica è ancora qui. Aleggia nell'aria, sospinta da un soffio di vento, con la speranza che non abbia mai fine: "come tutte le più belle cose".
"Ricordi, sbocciavan le viole...". Per chi ha amato profondamente Fabrizio De André e la sua originalità, "le viole" non sbocciano più da vent'anni. Come se la "primavera" della musica si fosse conclusa con la sua uscita di scena.
Era l'11 gennaio del 1999 quando Faber - soprannome storico datogli dal suo fraterno amico Paolo Villaggio - ci lasciava a causa di un cancro ai polmoni. Era appena iniziato l'ultimo anno del ventesimo secolo. Sicuramente avrebbe trovato l'ispirazione giusta per descrivere anche il mondo d'oggi, quel "nuovo millennio" su cui allora si fantasticava tanto.
La sua poesia in musica ha scavalcato decenni e generazioni ed è ancora oggi ascoltata da tutti.
Poco incline alle regole, irrequieto, ma di animo fortemente sensibile, Fabrizio era solito trascorrere le sue giornate tra i bordelli e le osterie della sua Genova, in compagnia dei suoi più cari amici. Primo fra tutti, il futuro attore Paolo Villaggio e poi Gino Paoli, Bruno Lauzi, Umberto Bindi e Luigi Tenco, i fautori di quella "Scuola genovese" di cui lui è considerato l'ultimo esponente.
Lasciò a metà i suoi studi universitari (Giurisprudenza) non appena capì che la musica era la sua strada. Il primo passo, nel 1961, con "Nuvole barocche", il suo primo 45 giri.
La notorietà nazionale arrivò nel 1967, grazie a Mina e alla sua interpretazione de "La canzone di Marinella" - brano ispirato ad un vero fatto di cronaca - che De André aveva pubblicato nel 1964.
Da allora in poi fu uno straordinario susseguirsi di successi: "La canzone dell'amore perduto", "Amore che vieni amore che vai", "Il pescatore", solo per citare i più noti.
Di idee anarchiche, fu fortemente ispirato dalle idee del cosiddetto "Maggio Francese" - il '68 Francese - e dalla musica di Georges Brassens. Gli anni '70 lo consacrarono al successo. Collaborò con diversi artisti - tra cui Francesco De Gregori - e si fece inoltre portatore di istanze contestatrici. Ciò gli provocò diverse accuse, mossegli soprattutto da chi credeva fossero "problemi" non suoi, essendo nato benestante e avendo potuto godere di mille privilegi.
Ma, come tutti i "poeti maledetti", De André ebbe una vita scombussolata anche dal punto di vista sentimentale. Ebbe molte relazioni in gioventù, forse spinto sempre da un' innata e continua ricerca. Senz'altro, dopo la fine del matrimonio con Enrica Rignon - detta "Puny" - che gli diede il figlio Cristiano -, l'amore più grande della sua vita fu la cantante Dori Ghezzi (all'epoca famosissima in coppia col cantante Wess), che lo sposerà nel 1989, dopo sedici anni di convivenza, restandogli accanto fino alla fine dei suoi giorni. Insieme condivisero successi professionali, personali - la seconda figlia Lucia Vittoria "LuVi" - ma anche momenti difficili, come il rapimento da parte della Anonima Sarda che nell'agosto del 1979 li prelevò dalla propria villa, nei pressi di Tempio Pausania, nascondendoli nei boschi alle pendici del Monte Lerno e liberandoli soltanto dopo il pagamento di un pesante riscatto e quattro mesi di prigionia.
E se De André abbia sempre preso spunto dalle proprie esperienze per scrivere le sue canzoni, non stupirà che anche questo triste episodio ispirò un suo famoso brano, "Hotel Supramonte".
Gli anni '90, invece, lo videro collaborare con diversi artisti, in qualità di autore o di interprete. Inoltre, pubblicò i sui due ultimi album: "Le nuvole" e "Anime salve", le sue ultime fatiche.
Sebbene, agli inizi, provasse vergogna a cantare in pubblico, a partire dagli anni '70 aveva cominciato ad esibirsi in concerto. E proprio davanti al suo pubblico terminò la propria carriera. Nell'estate del '98, infatti, durante il suo ultimo tour, accusò dei dolori al torace. A seguito di esami medici scoprì il tumore e fu per questo costretto ad interrompere i propri concerti. Poco più di quattro mesi dopo se ne andò via, portando con sé la sua fedele chitarra, con la quale continua ancora ad allietarci.
Perché la sua musica è ancora qui. Aleggia nell'aria, sospinta da un soffio di vento, con la speranza che non abbia mai fine: "come tutte le più belle cose".
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