SALIRE È FACOLTATIVO, SCENDERE È OBBLIGATORIO
Arriva sempre il momento di decidere. Si può meditare, riflettere quanto si vuole, ma poi ci tocca scegliere. E spesso, capita di fare la scelta sbagliata, di pentirsi delle parole dette, delle azioni compiute. Lì viene il difficile: ci si rende conto di aver fallito e si avrebbe voglia soltanto di scappare, di fuggire via.
Come Mattia Pascal - il personaggio dell'omonimo libro di Luigi Pirandello - che, deluso dalla propria vita, sfrutta il fatto di esser stato riconosciuto in un cadavere e decide di abbandonare tutto, assumendo un'altra identità, quella di Adriano Meis. A chi non è capitato?
Il problema è che la fuga non serve a nulla e non risolve alcunché. Sbagliare è lecito, può capitare, ma non è la fine del mondo. Senza contare che, non si fa mai nulla in maniera proprio avventata. Qualsiasi azione, anche se solo per qualche istante, ci deve essere apparsa come giusta nel momento in cui abbiamo deciso di compierla, altrimenti non saremmo mai arrivati a quel punto.
Il difficile viene quando bisogna prendere consapevolezza delle proprie decisioni e pagarne le conseguenze. Nessuno è disposto ad andare fino in fondo, a subire gli effetti delle proprie scelte.
Però, è quella l'unica soluzione per sentirsi davvero liberi.
Lo sbaglio non costituisce alcuna colpa, anzi, permette di comprendersi meglio, di conoscersi a fondo. Ma, perdonate il gioco di parole, è solo andando a fondo alla questione che si può dire di aver agito correttamente, nel bene o nel male.
Credo che l'esempio più calzante sia quello di una escursione in montagna. Gli alpinisti o gli amanti della montagna sanno bene che ciò che ci conduce in cima, in vetta, è il piacere dell'arrampicata, e non tanto la cima in sé - che comunque resta l'obiettivo principe.
Il problema è che una volta arrivati su, volenti o nolenti, dobbiamo scendere. E, può sembrare strano, lì manca il coraggio: vengono meno le forze, l'attenzione cala e si rischia anche di farsi male.
Ecco, nella vita funziona proprio così. Spesso compiamo delle azioni per il piacere di arrivare "in vetta", nella speranza di appagare i nostri desideri. Ma una volta raggiunto lo scopo, non abbiamo più il coraggio di proseguire e preferiremmo rimanere lì, inerti.
Invece, bisogna saper accettare le conseguenze delle nostre azioni, senza farsene una colpa, specialmente quando queste non dipendono direttamente da noi. Il vero successo, a mio avviso, sta nel capire l'errore e accettarne i risvolti, qualunque essi siano.
Senza dimenticare mai che, alla fine, qualcosa di buono uscirà sempre fuori. Ma non bisogna mai tirarsi indietro pur di non affrontare la realtà.
E tornando ancora sulla montagna, l'insegnamento più bello ce lo dà proprio un insolito montanaro e sciatore, l'amatissimo Papa Giovanni Paolo II: "Salire è facoltativo, scendere è obbligatorio".
Arriva sempre il momento di decidere. Si può meditare, riflettere quanto si vuole, ma poi ci tocca scegliere. E spesso, capita di fare la scelta sbagliata, di pentirsi delle parole dette, delle azioni compiute. Lì viene il difficile: ci si rende conto di aver fallito e si avrebbe voglia soltanto di scappare, di fuggire via.
Il problema è che la fuga non serve a nulla e non risolve alcunché. Sbagliare è lecito, può capitare, ma non è la fine del mondo. Senza contare che, non si fa mai nulla in maniera proprio avventata. Qualsiasi azione, anche se solo per qualche istante, ci deve essere apparsa come giusta nel momento in cui abbiamo deciso di compierla, altrimenti non saremmo mai arrivati a quel punto.
Il difficile viene quando bisogna prendere consapevolezza delle proprie decisioni e pagarne le conseguenze. Nessuno è disposto ad andare fino in fondo, a subire gli effetti delle proprie scelte.
Però, è quella l'unica soluzione per sentirsi davvero liberi.
Lo sbaglio non costituisce alcuna colpa, anzi, permette di comprendersi meglio, di conoscersi a fondo. Ma, perdonate il gioco di parole, è solo andando a fondo alla questione che si può dire di aver agito correttamente, nel bene o nel male.
Credo che l'esempio più calzante sia quello di una escursione in montagna. Gli alpinisti o gli amanti della montagna sanno bene che ciò che ci conduce in cima, in vetta, è il piacere dell'arrampicata, e non tanto la cima in sé - che comunque resta l'obiettivo principe.
Il problema è che una volta arrivati su, volenti o nolenti, dobbiamo scendere. E, può sembrare strano, lì manca il coraggio: vengono meno le forze, l'attenzione cala e si rischia anche di farsi male.
Ecco, nella vita funziona proprio così. Spesso compiamo delle azioni per il piacere di arrivare "in vetta", nella speranza di appagare i nostri desideri. Ma una volta raggiunto lo scopo, non abbiamo più il coraggio di proseguire e preferiremmo rimanere lì, inerti.
Invece, bisogna saper accettare le conseguenze delle nostre azioni, senza farsene una colpa, specialmente quando queste non dipendono direttamente da noi. Il vero successo, a mio avviso, sta nel capire l'errore e accettarne i risvolti, qualunque essi siano.
Senza dimenticare mai che, alla fine, qualcosa di buono uscirà sempre fuori. Ma non bisogna mai tirarsi indietro pur di non affrontare la realtà.
E tornando ancora sulla montagna, l'insegnamento più bello ce lo dà proprio un insolito montanaro e sciatore, l'amatissimo Papa Giovanni Paolo II: "Salire è facoltativo, scendere è obbligatorio".
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