Passa ai contenuti principali
L'UOMO DEVE SOGNARE PER SALVARSI

"Se puoi sognarlo puoi farlo". Lo disse Walter - detto "Walt" - Disney, il papà di Topolino e di molti altri personaggi di fantasia. È un motto che incita a credere di più nella realizzazione dei propri progetti: ciò che possiamo "architettare" nei pensieri, possiamo davvero crearlo nella realtà.
Qualcuno potrebbe obiettare che questo può essere vero nel mondo dei cartoni animati, dell'immaginazione - in cui Disney lavorava -, ma non nella realtà. D'altra parte, crescendo, noi stessi ci rendiamo conto che la vita è tutt'altro che semplice.


Questo, però, non vuol dire che essa sia "impossibile". È vero: la vita è dura, ed a volte anche complicata, ma non per questo dovremmo convincerci che sia tutta una presa in giro.
Io, personalmente, credo che Walt Disney avesse capito tutto. Credo che tutto, o quasi, sia possibile e per tutti. E lo dico pur sapendo che non sempre è così. Ma vale la pena davvero mettersi in testa che certe cose appartengano solo al mondo della fantasia? Rassegnarsi all'idea che i sogni siano una cosa da bambini?
Perché, se fosse così, allora sarebbe inutile anche raccontare le favole ai nostri figli. È sempre stato così, ancora prima che andasse di moda la "psicologia infantile". I bambini devono ascoltare le favole per sviluppare fantasia, creatività, curiosità, ma anche speranza e fiducia. Perché? Perché è a quell'età che il nostro "io" si sviluppa, prende forma, prendendo consapevolezza che le possibilità esistono e vanno solo messe in atto. Capiterà di avere difficoltà, scoramenti, ma nulla che non sia superabile.
E questo, a mio avviso, vale per tutti - bambini e adulti, giovani e vecchi. Come vale per la società nel suo insieme. La crisi, i debiti, i problemi che sembrano condurci quotidianamente verso un punto di non ritorno, pare ci portino a credere che un finale diverso per la nostra storia sia soltanto utopia.
E penso che il problema sia la "memoria corta". Siamo nel 2018. Forse abbiamo dimenticato che, solo sessant'anni fa, l'Italia pagava ancora le conseguenze della guerra e c'era miseria ovunque. La miseria vera: c'era chi non riusciva a mettere insieme il pranzo con la cena, chi non aveva di che vestirsi. Nel giro di dieci anni, arrivammo al punto in cui esportavamo prodotti in tutto il mondo, avevamo una fiorente attività industriale, e tutti in famiglia possedevano almeno un'auto, un televisore, la lavatrice e il frigorifero. Con lavoro e volontà, siamo stati in grado di ricostruire un Paese - e le nostre esistenze - pezzo per pezzo. Come abbiamo fatto? Semplice: ci abbiamo creduto.
" 'O munno è comme t'u faje 'ncap", si dice a Napoli, ovvero il mondo è quello che crei nella tua testa. I sogni ci spingono a vedere al di là dell'apparenza, e a capire davvero cosa ci sia oltre.
Un tempo, quando si era forse più ingenui ma più "veri", lo sapevamo bene.
Nel momento in cui riacquisteremo questa consapevolezza, saremo in grado di dare un vero senso alle nostre vite.
"La realtà è il cinque per cento della vita, l'uomo deve sognare per salvarsi". Lo scrisse Walter Bonatti, uno dei tredici alpinisti italiani che, nel 1954 - nella mitica spedizione capitanata dal geologo Ardito Desio -, realizzarono "il sogno" di scalare la seconda vetta più alta del mondo, il K2.
La spedizione, si sa, andò a buon fine. A toccare materialmente la vetta furono solo in due. Bonatti si fermò a poca distanza. Ma se non avesse creduto in quel sogno, probabilmente, non ci avrebbe neanche provato.

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l'altro, per la salita di Sant'Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla ve...
C'ERA UNA VOLTA, IL TEATRO DELLE VITTORIE! Nell’estate televisiva in cui le menti offuscate dall’afa si ridestano, a sera, ai ricordi di  Techetecheté , ci capiterà di rivederlo. Nelle sue splendide scenografie, dal bianco e nero al colore, nei conduttori in abito da sera, da Lelio Luttazzi a Fabrizio Frizzi, negli acuti di Mina, nella diplomazia di Pippo Baudo, nelle mille luci di una facciata, quella di uno dei teatri più celebri della Rai, che era essa stessa un inno al divertimento del sabato sera. Da qualche tempo, quell’ingresso, per anni abbandonato al degrado estetico, è stato restaurato ma “in povertà”, lontano dai fasti di una storia cominciata ottant'anni fa, nel 1944, quando il Teatro delle Vittorie, sito in via Col di Lana, a Roma, veniva inaugurato nientepopodimeno che da una rivista di Totò e Anna Magnani.   Il "luminoso" ingresso del Teatro delle Vittorie.   Il delle Vittorie era un grande teatro specializzato negli spettacoli di varietà e rivista. Bal...
GIUSEPPE GUIDA, PASSIONE MAESTRA Un maestro, nel senso più “elementare” del termine. Perché prima che professore, preside, sindaco democristiano, storico e scrittore, Giuseppe Guida è stato, a mio avviso, un maestro. E non solo perché si diplomò allo storico Istituto Magistrale di Lagonegro. Giuseppe Guida possedeva infatti le qualità che - sempre a mio parere - dovrebbero essere proprie di un vero insegnante elementare (e non solo): empatia, sguardo lungo, curiosità, intelligenza. E di intelligenza “Peppino” Guida diede dimostrazione fin da bambino.  Nato il 17 settembre 1914, da proprietari terrieri del Farno, zona rurale alle porte di Lagonegro (Pz), Peppino era terzo di sette figli e i genitori, per permettergli di studiare, lo affidarono agli zii materni, commercianti, che si occuparono della sua istruzione. I loro sacrifici non furono vani e infatti Peppino Guida diede prova di grandi capacità intellettive e non solo. Accanto alla passione per gli studi umanistici, che lo con...