Passa ai contenuti principali
GIOVANNINO GUARESCHI: L'ITALIA DI DON CAMILLO E DEI BUONI SENTIMENTI

"Comunque, è sempre infinitamente più facile essere semplici che essere complicati". Fu lui a dirlo.
E di sicuro pensava a se stesso. Perché Giovannino Guareschi - giornalista, scrittore e vignettista - senz'altro non era una persona facile. Un omone alto, grosso, con un bel paio di baffoni, dal volto buono e burbero allo stesso tempo, sanguigno e generoso, come la sua nativa Emilia, terra alla quale sarà sempre legato, e che racconterà nelle sue opere.


E - forse - proprio questo suo essere complicato, convinto nelle sue posizioni, lo ha portato a morire quasi in solitudine, il 22 luglio di cinquant'anni fa. La sua salute era già compromessa.
Stava male, ma continuava a lavorare, come sempre, ai suoi scritti, nonostante le porte del giornalismo si fossero chiuse per lui, quando, nel 1954, pubblicò - in buona fede - delle presunte lettere secondo le quali Alcide De Gasperi - leader della Democrazia cristiana - avrebbe "richiesto" dei bombardamenti Alleati su Roma, durante la guerra, per provocare l'insurrezione del popolo contro i nazisti. Le accuse risultarono infondate e finì in carcere.
Come anni prima, durante la guerra, quando - da ufficiale dell'esercito - si rifiutò di combattere per la Repubblica di Salò, dopo l'8 settembre, e venne arrestato e deportato in un lager in Germania - esperienza che racconterà in un opera del 1949, "Diario clandestino".
In entrambi i casi emerse la personalità dello scrittore: un uomo di saldi principi, disposto a tutto pur di far valere le proprie convinzioni.
Anche le sue idee politiche non furono mai molto cristalline. Si dichiarò cattolico, monarchico -
tanto da sostenere la tesi dei brogli elettorali durante il Referendum del 2 giugno 1946 - e socialista, ma aveva una profonda avversione verso il Partito comunista.
Decisivo fu il suo contributo, quale illustratore, nella campagna elettorale del 1948 per sconfiggere il Fronte socialcomunista. Indimenticabile il suo slogan per la Dc : "Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no!".
Nonostante ciò, la Democrazia cristiana non fu mai molto "riconoscente" nei suoi confronti.
Proprio questa sua irruenza, questa sua ostinazione lo portarono a chiudere prematuramente la carriera giornalistica, a fine anni '50. Carriera cominciata, come correttore di bozze, negli anni '20, presso la "Gazzetta di Parma" (successivamente "Corriere dell'Emilia").
Fu poi illustratore presso il "Bertoldo", un giornale satirico edito da Rizzoli. Fino a creare, nel 1945, un proprio settimanale, "Il Candido" - edito sempre da Rizzoli - , sulle cui pagine venne pubblicato il primo racconto su don Camillo e Peppone - rispettivamente parroco e sindaco comunista di un paese della Bassa padana, in perenne lotta tra di loro.
Fu il primo di una serie di racconti - divenuti poi romanzi - venduti e tradotti in tutto il mondo, facendo di Guareschi uno degli scrittori italiani più conosciuti all'estero.
Merito anche delle trasposizioni cinematografiche delle sue opere, che vedevano Fernandel nei panni di don Camillo e Gino Cervi in quelli di Peppone.
"Nessuno ha saputo raccontare come Guareschi l'Italia del Dopoguerra", scrisse Indro Montanelli, ed è così. Perché in quel "Mondo Piccolo" descritto da Guareschi - ed ambientato a Brescello nei film della serie - è riconoscibile un qualsiasi borgo del nostro Paese all'indomani della guerra.
Una nazione profondamente agricola, bonaria, ancora legata a costumi e modi di vivere antiquati, desiderosa di cambiamento, di innovazione pur di lasciarsi alle spalle gli anni bui della guerra, ma ancora molto timorosa nei confronti delle novità. Dopo un anno di carcere - per le accuse a De Gasperi - Guareschi continuò a lavorare, ma furono soltanto piccole collaborazioni.
Si dedicò prevalentemente alla stesura di altri romanzi prima di lasciare questa terra, a causa di un infarto.
E forse non è un caso sia scomparso proprio il 22 luglio 1968. La sua "amata" messa in latino era stata abolita, i preti con la tonaca come don Camillo erano già in via d'estinzione. E presto, tra lotte, contestazioni e battaglie sociali sarebbe scomparsa anche l'Italia genuina e di buoni sentimenti che nessuno come lui ci ha saputo raccontare.

Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l'altro, per la salita di Sant'Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla ve...
C'ERA UNA VOLTA, IL TEATRO DELLE VITTORIE! Nell’estate televisiva in cui le menti offuscate dall’afa si ridestano, a sera, ai ricordi di  Techetecheté , ci capiterà di rivederlo. Nelle sue splendide scenografie, dal bianco e nero al colore, nei conduttori in abito da sera, da Lelio Luttazzi a Fabrizio Frizzi, negli acuti di Mina, nella diplomazia di Pippo Baudo, nelle mille luci di una facciata, quella di uno dei teatri più celebri della Rai, che era essa stessa un inno al divertimento del sabato sera. Da qualche tempo, quell’ingresso, per anni abbandonato al degrado estetico, è stato restaurato ma “in povertà”, lontano dai fasti di una storia cominciata ottant'anni fa, nel 1944, quando il Teatro delle Vittorie, sito in via Col di Lana, a Roma, veniva inaugurato nientepopodimeno che da una rivista di Totò e Anna Magnani.   Il "luminoso" ingresso del Teatro delle Vittorie.   Il delle Vittorie era un grande teatro specializzato negli spettacoli di varietà e rivista. Bal...
GIUSEPPE GUIDA, PASSIONE MAESTRA Un maestro, nel senso più “elementare” del termine. Perché prima che professore, preside, sindaco democristiano, storico e scrittore, Giuseppe Guida è stato, a mio avviso, un maestro. E non solo perché si diplomò allo storico Istituto Magistrale di Lagonegro. Giuseppe Guida possedeva infatti le qualità che - sempre a mio parere - dovrebbero essere proprie di un vero insegnante elementare (e non solo): empatia, sguardo lungo, curiosità, intelligenza. E di intelligenza “Peppino” Guida diede dimostrazione fin da bambino.  Nato il 17 settembre 1914, da proprietari terrieri del Farno, zona rurale alle porte di Lagonegro (Pz), Peppino era terzo di sette figli e i genitori, per permettergli di studiare, lo affidarono agli zii materni, commercianti, che si occuparono della sua istruzione. I loro sacrifici non furono vani e infatti Peppino Guida diede prova di grandi capacità intellettive e non solo. Accanto alla passione per gli studi umanistici, che lo con...