"C'È STATO UN TEMPO": QUANDO L'ITALIA VENNE FATTA DAGLI ITALIANI
1946. La guerra era passata da un anno, ma le sue tracce erano ancora presenti ovunque: nelle città, sulle case e nelle strade, molte delle quali ancora sepolte dalle macerie e dai residuati bellici, come jeep e camion abbandonati dagli Alleati.
L'Italia voleva lasciarsi alle spalle quegli anni bui, pieni di morti, dolori e sofferenze. Per questo, il 2 ed il 3 giugno di quell'anno, l'intera popolazione venne chiamata al voto. Un referendum istituzionale che avrebbe deciso la futura forma di governo della nazione: la Monarchia o la Repubblica.
Agli elettori venne consegnata anche un'altra scheda: quella per la scelta dei deputati della cosiddetta Assemblea Costituente, i famosi "padri" che, due anni dopo, avrebbero firmato la Costituzione.
I cittadini dimostrarono grande interesse per la questione. L'affluenza alle urne fu notevole: per la prima volta parteciparono anche le donne, dando inizio così a quel processo di emancipazione femminile che avrebbe preso piede negli anni a venire.
I giorni successivi al voto, in attesa dei risultati elettorali, furono pieni di concitazione, speranza e paura. Fino a quel 10 giugno, quando la Corte di Cassazione decretò la vittoria della Repubblica con oltre 12 milioni di voti, contro i 10 milioni della Monarchia.
Alcide De Gasperi, segretario della Democrazia cristiana, assunse il ruolo di Capo provvisorio dello Stato, mentre il Re Umberto II di Savoia - succeduto a Vittorio Emanuele III che aveva abdicato- lasciò spontaneamente il Paese, trasferendosi con la famiglia in Portogallo, segnando così la fine di un'epoca e della sua dinastia.
C'è una foto che è diventata ormai il simbolo della nascita della Repubblica, scattata dal fotografo Federico Patellani e apparsa sulla copertina del settimanale "Tempo" il 15 giugno dello stesso anno: la testa di una donna - Anna Iberti, modella per caso - che sbuca dalla prima pagina del "Corriere della Sera", giovane, sorridente e con lo sguardo rivolto verso il cielo, segno di fiducia verso il futuro.
Era quello lo spirito comune a tutti gli italiani: la certezza che un futuro migliore fosse possibile, e così fu. Tutto grazie all'impegno, in primis, della popolazione.
Perché, se all'indomani dell'Unità d'Italia, nel 1861, Massimo d'Azeglio - politico e patriota- disse che l'Italia era fatta, e che toccava fare gli italiani, a partire dal referendum, invece, furono gli italiani a fare l'Italia, ricostruendola pezzo per pezzo.
Cominciarono gli elettori tutti, nelle cabine elettorali. Poi i contadini nei campi, gli operai nelle fabbriche, i maestri e gli studenti nelle scuole, i professori nelle università, i commercianti nelle loro botteghe, i muratori nei cantieri. Tutti contribuirono a quel processo di crescita e sviluppo che, nel giro di due decenni, portò l'Italia a competere con le più grandi potenze mondiali. Nessuno ci avrebbe creduto, eppure è successo.
"C'è stato un tempo in cui si facevano le imprese impossibili, c'è stato" - ha scritto Francesco Pinto, autore di alcuni romanzi che raccontano le "imprese" italiane del Dopoguerra.
Non dimentichiamocelo.
1946. La guerra era passata da un anno, ma le sue tracce erano ancora presenti ovunque: nelle città, sulle case e nelle strade, molte delle quali ancora sepolte dalle macerie e dai residuati bellici, come jeep e camion abbandonati dagli Alleati.
L'Italia voleva lasciarsi alle spalle quegli anni bui, pieni di morti, dolori e sofferenze. Per questo, il 2 ed il 3 giugno di quell'anno, l'intera popolazione venne chiamata al voto. Un referendum istituzionale che avrebbe deciso la futura forma di governo della nazione: la Monarchia o la Repubblica.
Agli elettori venne consegnata anche un'altra scheda: quella per la scelta dei deputati della cosiddetta Assemblea Costituente, i famosi "padri" che, due anni dopo, avrebbero firmato la Costituzione.
I cittadini dimostrarono grande interesse per la questione. L'affluenza alle urne fu notevole: per la prima volta parteciparono anche le donne, dando inizio così a quel processo di emancipazione femminile che avrebbe preso piede negli anni a venire.
I giorni successivi al voto, in attesa dei risultati elettorali, furono pieni di concitazione, speranza e paura. Fino a quel 10 giugno, quando la Corte di Cassazione decretò la vittoria della Repubblica con oltre 12 milioni di voti, contro i 10 milioni della Monarchia.
Alcide De Gasperi, segretario della Democrazia cristiana, assunse il ruolo di Capo provvisorio dello Stato, mentre il Re Umberto II di Savoia - succeduto a Vittorio Emanuele III che aveva abdicato- lasciò spontaneamente il Paese, trasferendosi con la famiglia in Portogallo, segnando così la fine di un'epoca e della sua dinastia.
C'è una foto che è diventata ormai il simbolo della nascita della Repubblica, scattata dal fotografo Federico Patellani e apparsa sulla copertina del settimanale "Tempo" il 15 giugno dello stesso anno: la testa di una donna - Anna Iberti, modella per caso - che sbuca dalla prima pagina del "Corriere della Sera", giovane, sorridente e con lo sguardo rivolto verso il cielo, segno di fiducia verso il futuro.
Era quello lo spirito comune a tutti gli italiani: la certezza che un futuro migliore fosse possibile, e così fu. Tutto grazie all'impegno, in primis, della popolazione.
Perché, se all'indomani dell'Unità d'Italia, nel 1861, Massimo d'Azeglio - politico e patriota- disse che l'Italia era fatta, e che toccava fare gli italiani, a partire dal referendum, invece, furono gli italiani a fare l'Italia, ricostruendola pezzo per pezzo.
Cominciarono gli elettori tutti, nelle cabine elettorali. Poi i contadini nei campi, gli operai nelle fabbriche, i maestri e gli studenti nelle scuole, i professori nelle università, i commercianti nelle loro botteghe, i muratori nei cantieri. Tutti contribuirono a quel processo di crescita e sviluppo che, nel giro di due decenni, portò l'Italia a competere con le più grandi potenze mondiali. Nessuno ci avrebbe creduto, eppure è successo.
"C'è stato un tempo in cui si facevano le imprese impossibili, c'è stato" - ha scritto Francesco Pinto, autore di alcuni romanzi che raccontano le "imprese" italiane del Dopoguerra.
Non dimentichiamocelo.
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