PEPPINO IMPASTATO: LA SUA LIBERTA' UN PASSO AVANTI VERSO LA NOSTRA
"Se una radio è libera, ma libera veramente...piace ancor di più perché libera la mente". Liberare la mente, smuovere le coscienze. Le parole di Eugenio Finardi - tratte dal testo di "La radio"- esprimono al meglio quello che è lo spirito delle radio libere - le emittenti private nate a partire dal 1976, grazie ad una legge approvata dalla Corte costituzionale . Tra queste, ce n'è una nata a Terracini, un piccolo paese del palermitano, in Sicilia. Si chiama Radio Aut e viene fondata nel 1977 da Giuseppe Impastato.
Peppino - come tutti lo chiamano - è un giovane di grandi speranze, giornalista ed attivista della sinistra extraparlamentare. Conosce bene il problema della mafia, specialmente nel suo paese, Cinisi. Infatti, la sua famiglia ( il padre in particolare) ha rapporti con la criminalità locale. Lui però, mostra fin da subito disprezzo per quell'ambiente, tant'è che il padre lo caccia di casa. Peppino è un sognatore, uno che crede nella libertà e nella potenza della parola. In un periodo in cui, ancora - nonostante morti e spargimenti di sangue - tutti o quasi continuano ad asserire che la mafia non esiste, che sia un'invenzione giornalistica, lui ammette la sua esistenza. Così come è consapevole del muro di omertà che circonda il suo e molti altri paesi della Sicilia. Peppino è attivo in prima linea a favore della legalità, della comunicazione tra i giovani. Fonda prima il gruppo "Musica e Cultura" e poi la sua emittente, Radio Aut. Da quei microfoni esprime liberamente le sue opinioni. Apre gli occhi alla gente, denuncia il problema mafia. Deride politici e mafiosi, in particolare Tano Badalamenti, il boss di Cinisi, che vive a soli cento passi da casa sua - come ricorda il titolo di un bellissimo film di Marco Tullio Giordana. È un grosso azzardo.
Le minacce arrivano ben presto, la famiglia viene allertata. Ma Peppino continua, non si arrende. Si candida alle comunali del 1978, nelle liste di Democrazia Proletaria. Voleva cambiare il volto del suo paese, dimostrare che una Sicilia diversa fosse possibile. Ma non ne ebbe modo.
La mattina del 9 maggio di quarant'anni fa, infatti, mentre l'Italia intera piange il corpo dell'onorevole Aldo Moro - ritrovato in via Caetani, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa - Giuseppe Impastato viene trovato morto sui binari della ferrovia Palermo-Trapani. Viene fatto esplodere con un ordigno. La notizia, trasmessa nella confusione suscitata dal ritrovamento di Moro, passa quasi in sordina.
C'è chi pensa ad un suicidio, chi ad un incidente: stava preparando un attentato dinamitardo e c'ha rimesso la vita. L'assassinio viene quasi escluso dalle ipotesi. Ci vollero anni, e l'impegno della famiglia, in particolare della madre, Felicia, affinché la verità venisse fuori e i responsabili fossero arrestati, compreso il mandante, Tano Badalamenti - "Tano Seduto", come era stato soprannominato da Peppino nelle sue campagne radiofoniche.
Non era il primo e non sarebbe stato l'ultimo. Prima e dopo di lui molti altri giornalisti sono stati uccisi per averci messo la faccia, per aver indagato alla ricerca della verità. È successo a Mauro De Mauro, Pippo Fava, Mario Francese e molti altri. Peppino, come loro, credeva in un futuro migliore e possibile per la sua terra. Ci ha creduto fino all'ultimo. Lui era libero, come la sua radio, come le sue parole che, senza sosta, fluttuavano nell'aria, alla ricerca di orecchie sensibili, in grado di accogliere la verità e farla propria. La verità rende liberi, diceva qualcuno. Peppino lo sapeva. Lui era libero e lo è tuttora in noi, che oggi siamo qui a rivolgergli un pensiero. Forse, ricordare la sua di libertà equivale a fare un passo avanti verso la nostra.
"Se una radio è libera, ma libera veramente...piace ancor di più perché libera la mente". Liberare la mente, smuovere le coscienze. Le parole di Eugenio Finardi - tratte dal testo di "La radio"- esprimono al meglio quello che è lo spirito delle radio libere - le emittenti private nate a partire dal 1976, grazie ad una legge approvata dalla Corte costituzionale . Tra queste, ce n'è una nata a Terracini, un piccolo paese del palermitano, in Sicilia. Si chiama Radio Aut e viene fondata nel 1977 da Giuseppe Impastato.
Peppino - come tutti lo chiamano - è un giovane di grandi speranze, giornalista ed attivista della sinistra extraparlamentare. Conosce bene il problema della mafia, specialmente nel suo paese, Cinisi. Infatti, la sua famiglia ( il padre in particolare) ha rapporti con la criminalità locale. Lui però, mostra fin da subito disprezzo per quell'ambiente, tant'è che il padre lo caccia di casa. Peppino è un sognatore, uno che crede nella libertà e nella potenza della parola. In un periodo in cui, ancora - nonostante morti e spargimenti di sangue - tutti o quasi continuano ad asserire che la mafia non esiste, che sia un'invenzione giornalistica, lui ammette la sua esistenza. Così come è consapevole del muro di omertà che circonda il suo e molti altri paesi della Sicilia. Peppino è attivo in prima linea a favore della legalità, della comunicazione tra i giovani. Fonda prima il gruppo "Musica e Cultura" e poi la sua emittente, Radio Aut. Da quei microfoni esprime liberamente le sue opinioni. Apre gli occhi alla gente, denuncia il problema mafia. Deride politici e mafiosi, in particolare Tano Badalamenti, il boss di Cinisi, che vive a soli cento passi da casa sua - come ricorda il titolo di un bellissimo film di Marco Tullio Giordana. È un grosso azzardo.
Le minacce arrivano ben presto, la famiglia viene allertata. Ma Peppino continua, non si arrende. Si candida alle comunali del 1978, nelle liste di Democrazia Proletaria. Voleva cambiare il volto del suo paese, dimostrare che una Sicilia diversa fosse possibile. Ma non ne ebbe modo.
La mattina del 9 maggio di quarant'anni fa, infatti, mentre l'Italia intera piange il corpo dell'onorevole Aldo Moro - ritrovato in via Caetani, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa - Giuseppe Impastato viene trovato morto sui binari della ferrovia Palermo-Trapani. Viene fatto esplodere con un ordigno. La notizia, trasmessa nella confusione suscitata dal ritrovamento di Moro, passa quasi in sordina.
C'è chi pensa ad un suicidio, chi ad un incidente: stava preparando un attentato dinamitardo e c'ha rimesso la vita. L'assassinio viene quasi escluso dalle ipotesi. Ci vollero anni, e l'impegno della famiglia, in particolare della madre, Felicia, affinché la verità venisse fuori e i responsabili fossero arrestati, compreso il mandante, Tano Badalamenti - "Tano Seduto", come era stato soprannominato da Peppino nelle sue campagne radiofoniche.
Non era il primo e non sarebbe stato l'ultimo. Prima e dopo di lui molti altri giornalisti sono stati uccisi per averci messo la faccia, per aver indagato alla ricerca della verità. È successo a Mauro De Mauro, Pippo Fava, Mario Francese e molti altri. Peppino, come loro, credeva in un futuro migliore e possibile per la sua terra. Ci ha creduto fino all'ultimo. Lui era libero, come la sua radio, come le sue parole che, senza sosta, fluttuavano nell'aria, alla ricerca di orecchie sensibili, in grado di accogliere la verità e farla propria. La verità rende liberi, diceva qualcuno. Peppino lo sapeva. Lui era libero e lo è tuttora in noi, che oggi siamo qui a rivolgergli un pensiero. Forse, ricordare la sua di libertà equivale a fare un passo avanti verso la nostra.
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