Passa ai contenuti principali

  LA STORIA IN MUSICA : IL FESTIVAL DI SANREMO



Da appena un mese si è conclusa la sessantottesima edizione del Festival di Sanremo, la kermesse canora più famosa al mondo. Vincitori di quest'anno sono stati i due cantautori Ermal Meta e Fabrizio Moro, con il brano " Non mi avete fatto niente ", già dalla prima esibizione considerato come favorito (nonostante il rischio di eliminazione, corso per supposto plagio).



Il brano, scritto insieme ad Andrea Febo - da tempo collaboratore di Moro - trae ispirazioni dagli attentati terroristici avvenuti negli ultimi anni. Vuole essere un messaggio di speranza, in un contesto di forte crisi e paura, come quello in cui viviamo.

"Non mi avete fatto niente" - perché, nonostante tutto, noi continueremo a sperare e ad infondere fiducia nell'altro, combattendo l'odio con l'amore, contro le  "vostre inutili guerre" - per citare alcune frasi del brano.

Questo testo permette di svelare una peculiarità che, a volte, non viene riconosciuta alla musica: attraverso le parole di una canzone, si può descrivere la società in cui si vive, dal punto di vista storico, politico, culturale e anche antropologico.



Sanremo ne è un esempio lampante. Il Festival può essere considerato a tutti gli effetti come un "pezzo" di Italia, come la pasta, la pizza, "i santi ed i poeti".

Perché, attraverso le canzoni che hanno partecipato alla famosa gara canora nella città dei fiori, è possibile ricostruire le vicende del nostro Paese. Dimostrare come la musica, da sempre un antidoto alla tristezza, strumento di evasione dalla realtà, sia in grado - a volte in maniera frivola altre meno - di illustrare l'evoluzione di un Paese.



Quest'anno, ad esempio, ricorrono gli anniversari di due famosissimi brani del Festival : i sessant'anni di "Nel blu dipinto di blu" ( noto anche come "Volare") di Domenico Modugno,  e i quarant'anni di "Gianna", di Rino Gaetano.





"Nel blu dipinto di blu" vinse il Festival  nel 1958, quando quest'ultimo si svolgeva ancora nel Casinò e non al Teatro Ariston. Fu il quarto Festival trasmesso, in contemporanea, da radio e televisione. La Rai, infatti, aveva cominciato le "regolari trasmissioni" solo quattro anni prima, il 3 gennaio 1954.  Siamo nell'Italia dell'immediato Dopoguerra : quella del Boom Economico, della Ricostruzione grazie al Piano Marshall. La maggior parte degli italiani non aveva ancora la televisione in casa. Per cui, o ascoltava il festival per radio, oppure si recava dai vicini, dai parenti o nei bar dove, in cambio di una consumazione, poteva assistere all'ultima serata del Festival - l'unica che andava in onda all'epoca.



"Nel blu dipinto di blu" venne eseguita da Modugno - coautore insieme a Franco Migliacci - in coppia con un giovanissimo Johnny Dorelli. Attenzione però: come consueto all'epoca, la "coppia" eseguiva separatamente il brano con cui era in gara. Siamo lontani dai duetti a cui siamo ormai abituati da anni.



Ma qual era il significato della canzone? Ci sono state diverse testimonianze da parte degli autori a riguardo. Senz'altro, però, come si evince dal testo, narra di un sogno. Il sogno di poter volare nel cielo blu. Blu come gli occhi della donna amata in cui perdersi “volando” con la mente. La canzone costituiva, sia nel tipo di testo che nell'esecuzione dello stesso, una rottura col passato. Modugno, elegantissimo in frack, apre le braccia come nell'atto di spiccare il volo, mentre esegue il celeberrimo ritornello : "Voolareee, oh oh, cantareee, oh oh oh oh...". Ciò si discosta molto dalle tipiche esecuzioni "ingessate" dei cantanti del tempo. Infatti, la gestualità , la melodia, il sound quasi rock del brano, si avvicinavano molto di più ai cosiddetti Urlatori ( come vennero chiamati i cantanti che "urlavano", ovvero cantavano ad alta voce, le proprie canzoni - come Adriano Celentano e Tony Dallara ) che  ai tradizionali cantanti melodici sanremesi come Nilla Pizzi o Claudio Villa.
Il testo, innovativo e ricco di speranza, esprime al meglio quella che era l'atmosfera degli anni '50. L'Italia della ricrescita economica. Il paese uscito dalla guerra con le ossa rotte, ma volenteroso e pronto a " volare" verso il futuro.



Nel 1978, invece, il Festival vede la partecipazione di un cantautore molto popolare tra i giovani per le sue canzoni, in apparenza frivole - caratterizzate da ritornelli orecchiabili e frasi di apparente non sense -, ma in realtà ricche di significato.

Sono passati vent'anni dall'Italia di "Volare". C'è stato il '68, la rivoluzione sessuale, la crisi petrolifera. Siamo nel pieno dei cosiddetti "Anni di piombo", dello stragismo di massa.
E' un' Italia non più bigotta e moralista: è stata approvata la legge sul divorzio, sta per essere approvata quella sull'aborto.



Rino Gaetano si classificherà al terzo posto con la canzone "Gianna" che, rompendo ogni tabù, parla per la prima volta al Festival del sesso, cosa assolutamente impensabile fino a soli dieci anni prima.

 La canzone di Gaetano è un inno alla libertà di ogni genere: sessuale, politica, sociale e personale. E' l'esatta descrizione di quegli anni dove i giovani la fanno da padroni. Sono stanchi di chi decide per loro e gli dice cosa fare e non fare. In primis le donne - come Gianna appunto - che non vogliono essere madri, figlie, sorelle, nonne, ma prima di tutto "donne", libere di fare ciò che più amano, in totale autonomia.


Si potrebbero fare anche altri esempi. Ma già da questi due si evince come delle "canzonette" - portate alla ribalta da Sanremo e diventati brani notissimi ancora oggi - permettano, con qualche accordo e un paio di strofe, di mettere a nudo un'intera epoca storica, anche meglio di un manuale. Così era allora, così è adesso e così sarà domani. Sempre.








Commenti

Post popolari in questo blog

DON CARLO CASCONE, IL RICORDO DI UN SORRISO DOLCE Braccia dietro la schiena, busto leggermente inclinato in avanti e su, un piede dopo l'altro, per la salita di Sant'Antuono, col basco calcato in testa e la tonaca svolazzante. Me lo ricordo così, don Carlo Cascone, quando la mattina, con la pioggia o con il sole, veniva a celebrare la messa feriale a pochi passi da casa mia, nella chiesetta di Sant'Antuono. Ci incontravamo sempre: io andavo a scuola e lui usciva dalla chiesa, a messa finita, fermandosi a parlare con i suoi parrocchiani, tra cui c’erano anche le mie nonne, Rosa e Assunta. Classe 1920, nativo di Lettere, vicino Napoli, don Carlo ha trascorso per oltre cinquant’anni la sua vita, terrena, spirituale e missionaria, a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove è stato ordinato sacerdote nel 1943.  Monsignore per merito e per grazia dei suoi fedeli, prete saggio, generoso e popolare, devotissimo della Madonna di Sirino, al cui seguito, per decenni, è salito sulla ve...
C'ERA UNA VOLTA, IL TEATRO DELLE VITTORIE! Nell’estate televisiva in cui le menti offuscate dall’afa si ridestano, a sera, ai ricordi di  Techetecheté , ci capiterà di rivederlo. Nelle sue splendide scenografie, dal bianco e nero al colore, nei conduttori in abito da sera, da Lelio Luttazzi a Fabrizio Frizzi, negli acuti di Mina, nella diplomazia di Pippo Baudo, nelle mille luci di una facciata, quella di uno dei teatri più celebri della Rai, che era essa stessa un inno al divertimento del sabato sera. Da qualche tempo, quell’ingresso, per anni abbandonato al degrado estetico, è stato restaurato ma “in povertà”, lontano dai fasti di una storia cominciata ottant'anni fa, nel 1944, quando il Teatro delle Vittorie, sito in via Col di Lana, a Roma, veniva inaugurato nientepopodimeno che da una rivista di Totò e Anna Magnani.   Il "luminoso" ingresso del Teatro delle Vittorie.   Il delle Vittorie era un grande teatro specializzato negli spettacoli di varietà e rivista. Bal...
GIUSEPPE GUIDA, PASSIONE MAESTRA Un maestro, nel senso più “elementare” del termine. Perché prima che professore, preside, sindaco democristiano, storico e scrittore, Giuseppe Guida è stato, a mio avviso, un maestro. E non solo perché si diplomò allo storico Istituto Magistrale di Lagonegro. Giuseppe Guida possedeva infatti le qualità che - sempre a mio parere - dovrebbero essere proprie di un vero insegnante elementare (e non solo): empatia, sguardo lungo, curiosità, intelligenza. E di intelligenza “Peppino” Guida diede dimostrazione fin da bambino.  Nato il 17 settembre 1914, da proprietari terrieri del Farno, zona rurale alle porte di Lagonegro (Pz), Peppino era terzo di sette figli e i genitori, per permettergli di studiare, lo affidarono agli zii materni, commercianti, che si occuparono della sua istruzione. I loro sacrifici non furono vani e infatti Peppino Guida diede prova di grandi capacità intellettive e non solo. Accanto alla passione per gli studi umanistici, che lo con...